Pastorale Familiare: separati e divorziati

fraternità, ascolto e confidenza

Per accogliere chi fa i conti con le conseguenze di un legame spezzato

L’argomento è senza dubbio “sensibile”. Quando si parla di separati o divorziati nella chiesa le reazioni sono diverse. C’è chi subito si mette sul piano morale, chi affronta la questione sotto l’aspetto prettamente giuridico o dottrinale. Chi avanza giudizi, entrando dentro alla vita e alle storie più diverse, ma comunque e sempre segnate da profonda sofferenza; chi, anche dal punto di vista pastorale, esclude a priori una presenza e, a volte, allontana.

Ma c’è anche una chiesa diocesana che rema controcorrente, lavora per l’uomo e se ne fa carico. Per questo don Cristiano Arduini (nella foto), delegato vescovile dell’ufficio per la famiglia, sceglie di partire dalla lettera pastorale che il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, il 7 gennaio 2008 ha dedicato a separati e divorziati Il Signore è vicino a chi è ferito. «Questo testo rappresenta una pietra miliare e di riferimento, che ci chiama a stare accanto a fratelli e sorelle feriti, senza nessun giudizio, in uno spirito di accoglienza e partecipazione incondizionata – afferma don Arduini – Nessuna storia è uguale a un’altra. C’è chi ha subito l’abbandono del coniuge e, nonostante questo, continua la fedeltà del cuore alla persona amata; altri hanno incontrato una nuova amicizia e formato un legame stabile, che tale però non è riconosciuto a livello sacramentale; altri ancora devono essere aiutati a rileggere la propria condizione e capire se il precedente matrimonio sia valido per intentare la strada della nullità. All’interno di queste diverse collocazioni ognuno ha una sua storia sacra».

Cosa succede dopo che un legame si è spezzato?

«Chi vive questa situazione ha un retroterra umano molto pesante da recuperare e dentro c’è molta rabbia. Rabbia da esternare e da cui distaccarsi, che porta a vedere e pensare che gli altri non ti capiscono, anche se in realtà non è così. Si è così presi dalla propria vicenda personale che sembra di avere il mondo contro. È una rabbia da rieducare, addomesticare: è necessario trovare spazi, quindi, di discernimento interiore. Una grossa fetta vive con i sensi di colpa, si chiede continuamente “Dove ho sbagliato? Cosa non ho fatto o potevo fare di più?”. Quando il senso di colpa si trasforma in sentimento di colpa c’è il rischio di una paralisi, l’insicurezza di non riuscire a ricostruirsi una vita senza il coniuge, a scapito dei figli».

La chiesa è attenta a queste situazioni e si pone in un atteggiamento di accoglienza. Quando però si parla di ammissione ai sacramenti, tutto si complica.

«Per il magistero della chiesa vige l’indissolubilità del matrimonio, quindi resta fondamentale la fedeltà al primo coniuge. L’eucaristia non solo è un diritto, ma è una forza nel vivere questa fedeltà che è segno della fedeltà di Cristo alla sua chiesa. È il pane del cammino. Ma non è facile. Ci si trova di fronte a una condizione in cui nel celibato, alcune volte subito, si è chiamati comunque a vivere la comunione sponsale, pur non fino in fondo».

Possono ricevere il sacramento della riconciliazione e della comunione eucaristica solo quanti non accedono a nuove nozze. E per chi costruisce un nuovo legame?

«L’eucaristia è il sacramento della comunione piena di Cristo che è stato fedele anche quando gli è costato assai, fino alle fine. C’è tutta una dimensione di croce legata all’eucaristia e me lo ricordava proprio una signora separata, parlandone in maniera liberante e positiva: la fedeltà ha un passaggio di croce che sospinge a un amore più grande. Laddove, dopo un legame spezzato se ne costruisce un altro, non è che quest’amore sia da buttare. Solo non è pieno perché lascia o mette da parte la chiamata al primo amore che si aveva avuto nel nome di Gesù. Mancando quel-l’esclusività, i cuori si trovano in una condizione di non pienezza. Nella nuova unione c’è amore, sì, si vive l’altro come persona importante, ma manca l’aspetto pubblico e la fedeltà al primo coniuge che dal punto di vista oggettivo rende impossibile una comunione piena».

Ci sono anche coppie divorziate risposate che, dopo un cammino di conversione adeguato, accedono all’eucaristia. Il direttorio di pastorale familiare consiglia di non farlo nella propria comunità per non creare “scandalo”. Cioè?

«L’espressione è forte, deriva dal greco e significa “pietra d’intralcio”, qualcosa nel cammino che se non ci fai attenzione ti porta a cadere. Si fa riferimento a una prudenza pastorale: nella comunità cristiana ci sono coppie che hanno raggiunto una grande maturità di fede e hanno chiaro che ogni storia è sacra e va rispettata e a cui non fa problema che altri giungano a ricongiungersi all’eucaristia, dopo un percorso personale e spirituale secondo le indicazioni del magistero della chiesa. Esistono, però, anche coppie fragili che non hanno maturato la fede e dove la convivenza tra i due non è pacifica. Ritrovarsi dinnanzi alcuni che convivono e, seppur dopo un percorso di fede, si accostano alla comunione, può diventare una provocazione eccessiva per quanti vivono nella fatica il proprio cammino di fede e fedeltà, e può essere una via di fuga ulteriore per rompere l’unione. È importante, però e comunque, salvaguardare il cammino di fede di questa nuova coppia che accetta le indicazioni del magistero della chiesa».

Quali le azioni pastorali da intraprendere?

«Promuovere con le coppie un lavoro che metta in gioco non solo contenuti razionali ma vissuti. Quanto è importante raccontare la vita abitata dal vangelo e da Cristo, perché lì possa attecchire la grazia che fa dire, ad esempio, ai fidanzati “Io scelgo di essere scelto”. Una volta un fidanzato mi ha detto “L’amore di coppia è un affare a tre: il Signore sta all’inizio del nostro incontro, è provvidenza, è grazia”. Credo sia questo il terreno fertile dal quale può scaturire un’intuizione di fede, il maturare pian piano della vita sacramentale. L’eucaristia e la riconciliazione sono i sacramenti caldi, al di fuori di questi le unioni si sfaldano, per questo è importante camminare e celebrare insieme anche ad altre coppie. Vivendo l’eucaristia alla luce della parola di Dio si stemperano problemi e si recupera forza nel rapporto. E questo va fatto nel tempo della preparazione al matrimonio, ma anche nel dopo: l’importante è non camminare da soli ed essere stimolati a un cammino di fede. Oggi in alcuni dei gruppi famiglie o sposi della nostra diocesi ci sono anche coppie formate da una nuova unione: è un segno bello e importante da sostenere».

Quindi, come comunità e singoli cristiani la strada è…

«Spogliarci di alcuni pregiudizi che vengono dal sentirci noi i perfetti scelti e loro i cristiani di serie b. Siamo chiamati a uno sguardo positivo, bello, caldo, accogliente, solare e a sentire che la storia di questi fratelli feriti è la nostra storia e di conseguenza ci riguarda e ci appartiene. Dobbiamo costruire rapporti autentici di fraternità, ascolto e confidenza reciproca. Molto si gioca su questi atteggiamenti!».

inchiesta di Claudia Belleffi

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