Laici e cattolici sul tema delle “unioni civili” – la distinzione tra morale e diritto

Riguardo al tema delle “unioni civili” è stata riproposta una presunta contrapposizione tra laici e cattolici. Una contrapposizioni che  in realtà non trova riscontro nel sentire della stragrande maggioranza delle persone, né può desumersi dalla legittima diversità di posizioni su alcune pur rilevanti tematiche quali appunto “le unioni civili” , che deve potersi esprimere con serenità e chiarezza, in un clima di rispettoso dialogo.

Laici e laicismo, cattolici e clericalismo, quali distinzioni?

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Sulle pagine di Repubblica del 18 febbraio scorso Massimo Salvadori afferma :  “la distinzione vera non è tra cattolici e laici, credenti e non credenti, ma tra clericali e laici.  Laici sono tutti coloro che, in relazione ai valori e ai comportamenti, tengono cara e rispettano la libertà altrui, non intendono dettare il proprio credo a coloro che non lo condividono”.  All’opposto “clericali sono coloro i quali intolleranti, sono credenti illiberali che, facendo appello al fatto di avere con sé  la maggioranza popolare, concludono di aver il diritto  e la legittimazione per sopraffare gli altri; ma nelle fila dei clericali si collocano a pieno titolo altresì quei sedicenti laici che considerano i credenti alla stregua di persone in preda alla superstizione nemica della razionalità e per loro natura incapaci di sviluppare uno spirito laico”.

La stessa mutazione può essere assunta dal concetto di laicità, quando diviene laicismo.  Norberto Bobbio sostiene che per laicismo si intende un atteggiamento di intransigente difesa dei pretesi valori laici contrapposti a quelli religiosi, di intolleranza verso le fedi e le istituzioni religiose. Quando la cultura laica si trasforma in laicismo viene meno la sua ispirazione fondamentale, che è quella della non chiusura in un sistema di idee e di principi definiti una volta per sempre.

Evidentemente laicismo e clericalismo finiscono per coincidere.

Si tratta di stabilire quali comportamenti rientrano in tali atteggiamenti di intolleranza e quali appartengono a fondamentali regole di convivenza.

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Sulla questione delle “Unioni civili” e della cosiddetta “stepchild adoption” può  ancora essere d’aiuto il  pensiero di Bobbio: “lo Stato laico, che rispetta la distinzione tra diritto e morale, non deve intervenire nella regolazione di una coppia di omosessuali consenzienti. Ma se questi chiedono di adottare un bambino, anche lo Stato di diritto non può non porsi il problema se ne derivi un eventuale danno per quel terzo che è il bambino. Il problema a questo punto non è più soltanto morale, ma strettamente giuridico.”

Il diritto è essenzialmente relazione tra pari, simmetria e reciprocità di posizioni. Le conseguenze delle scelte personali non devono interferire, ma rispettare la sfera giuridica propria del terzo, soprattutto quando questo si trova in una condizione non simmetrica, ma di inferiorità, quale la condizione del bambino rispetto all’adulto.

Ne deriva che secondo  il pensiero “laico” è pienamente legittimo per l’adulto comportarsi secondo la propria morale soggettiva, ma solo fin quando questa non invada la sfera soggettiva altrui.

E nella sfera dei diritti che naturalmente e normalmente competono ad ogni essere umano, a ogni bambino, c’è quello di non essere privato di una delle facoltà più belle e più grandi che ogni uomo possiede: poter pronunciare, rispettivamente e distintamente la parola “mamma” e la parola “papà”, due parole che appartengono al lessico universale dell’umanità.

Spunti tratti dall’articolo di Vincenzo Turchi pubblicato su Avvenire del 21 febbraio 2016 “L’antidoto di Bobbio al clerical-laicismo”

Cosa dice il diritto in materia?

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Se consideriamo il presupposto di Bobbio che nel caso di adozioni di minori si deve passare dalla sfera morale a quella giuridica, è necessario conoscere quali sono le norme che regolamentano la materia.

Lucia Rabboni, giudice del Tribunale per i minorenni di Legge ha fatto notare che: “non esiste un diritto all’adozione, nessuna fonte di diritto interno o sovranazionale lo contempla né per le coppi eterosessuali né per quelle omosessuali. Esiste invece il diritto del minore a una famiglia, così come recita il titolo della legge 184/83 che si pone semanticamente in opposizione con il diritto della coppia a un figlio”.

Altro requisito assolutamente inderogabile è quello che la coppia sia unita in matrimonio e, visto che per la legge italiana, il matrimonio è consentito solo tra un uomo e una donna, non esistono margini per l’adozione “legittimante” di un minore da parte di coppie omosessuali. «Nessuna sentenza di merito “creativa” – ha sottolineato Rabboni – è riuscita a far breccia su tale impianto, tanto semplice quanto inespugnabile, immune da censure di incostituzionalità e rispettoso della normativa sovranazionale». Il riferimento all’Europa è importante perché, mentre negli ultimi decenni è indiscutibile il progressivo riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali, è altrettanto vero che i giudici di Strasburgo hanno sempre ribadito che il diritto di sposarsi è riconosciuto secondo le leggi nazionali. In ogni caso, ha fatto notare ancora il magistrato, quel “diritto alla vita familiare” evocato in ambito europeo per gli omosessuali, non «comprende il diritto di adottare».

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Ancora più chiara un’altra grande carta internazionale, la Convenzione di New York del 1989 che sancisce, tra l’altro, il diritto del minore «a conoscere ed essere allevato dai propri genitori». L’avvocato Anna Maria Panfili, già presidente del Forum ligure delle Associazioni familiari, ha fatto notare come questi diritti siano stati recepiti non solo da alcune disposizioni del codice civile (art.315 bis e 337 ter) ma anche e soprattutto dalla legge 184 sulle adozioni. «Il diritto del minore a una famiglia indicato dalla legge – ha messo in luce Panfili – richiama il diritto ad avere una figura materna e una paterna. Risulta evidente che la differenza sessuale degli adottanti è parametro non emarginabile per verificare l’interesse superiore del minore nelle decisioni che lo riguardano». In altre parole, la legge 184 sull’adozione, indicando il valore delle differenza sessuale degli aspiranti adottanti, ha l’obiettivo della tutela «dei diritti del minore, non quella di discriminare un adulto».

Spunti tratti dall’articolo di Luciano Moia pubblicato su Avvenire dell’11 maggio 2015 “Adozioni e unioni civili, la legge sbanda”

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