L’ARTISTA
ARCABAS
Arcabas , pseudonimo di Jean Marie Pirot, è un artista la cui pittura sta facendosi largo in Italia, soprattutto in ambito ecclesiale. Prese il nome d’arte di Arcabas durante le agitazioni del maggio 1968, quando rimase colpito da due graffiti sovrapposti su di un muro che i suoi studenti avevano a disposizione per le loro libere espressioni artistiche «L’arc» (“l’arco”) e «à bas Malraux» (“abbasso Malraux”, il Ministro della cultura) (fonte).
Nel corso della sua lunga carriera, ha adoperato svariate tecniche artistiche, principalmente la pittura, e si è espresso nel campo dell’arte sacra. È principalmente noto per i dipinti nella chiesa di Saint-Hugues-de-Chartreuse, ma ha realizzato opere per la basilica del Santuario di La Salette e in altri luoghi del mondo. In Italia, si trovano suoi lavori presso la Chiesa della Risurrezione a Torre de’ Roveri (BG) e per la Cappella della Riconciliazione.
La caratteristica peculiare di Arcabas è una certa ingenuità, uno sguardo di candore nel descrivere l’evento sacro, un’ingenua semplicità che rende tutto lineare, di facile lettura, così come per i nostri padri erano di facile lettura i grandi cicli d’affreschi che decoravano le pareti delle chiese. Come la pittura antica anche quella di Arcabas cerca la traduzione del fatto sacro sotto aspetti contemporanei, con colori caldi, vivaci, avvolgenti, cosicché anche l’occhio possa gioire e godere della bellezza del colore.
Dal 1986 vive ed opera a Saint-Pierre-de-Chartreuse.
L’OPERA
I PELLEGRINI DI EMMAUS (1993-1994)
CHIESA DELLA RESURREZIONE – COMUNITA’ NAZARETH
IL PITURELLO – TORRE DE ‘ROVERI (BG)
Il ciclo pittorico di Torre de’ Roveri, dedicato ai Pellegrini di Emmaus, si articola in diverse scene alcune figurative altre simboliche.
Il racconto di Emmaus non è lontana nel tempo. Vive nel nostro oggi, ogni giorno. Quanto accadde sulla strada da Gerusalemme a Emmaus, avvenne in figura per tutti noi, che siamo pellegrini sulla terra e sentiamo il bisogno di sostare per mangiare il pane e bere il vino. Il racconto di Emmaus sta lì specialmente per quei momenti in cui noi abbiamo bisogno di ridestare la speranza.
È possibile leggere il racconto di Emmaus anche come la storia di un’avventura umana, dove ogni tappa ci dice qualcosa dell’uomo e dei momenti più significativi per la sua maturazione: ricercare il senso della vita, individuare la direzione della propria storia, lasciarsi incontrare, accogliere alla propria tavola. Può essere visto all’interno della vocazione a cui tutti siamo chiamati, nel nostro vissuto, facendone emergere i passaggi fondamentali.
La vicinanza (Figura 1)
Il tutto prende l’avvio dalla tavola che ci presenta i tre personaggi del Vangelo: i due pellegrini e il misterioso viandante che si accosta a loro durante il cammino. I tre sono visti frontalmente, dietro i loro piedi possiamo notare le tracce del cammino fatto. Mani e volti parlano dei fatti appena passati che il misterioso viandante (si noti il volto di luce dai lineamenti misteriosi e non marcati) pare non conoscere; parole di sconforto, fatti tragici davanti ai quali la loro speranza si è miseramente infranta. Parlano ma non si guardano in faccia e non guardano il pellegrino che è con loro. Sono quasi scomposti nel procedere, quasi sembrano cadere, solo chi è tra loro è diritto, saldo sul bastone a cui si appoggia (segno del bastone del buon pastore). Stanno fuggendo da Gerusalemme per riprendere la vita di prima ma con una grande amarezza, chi ha questa amarezza nel cuore, chi la percepisce nei suoi pensieri.
Il seme (Figura 2)
Nella terra scura piena di lettere disordinate, confuse, frammenti di parole, di frasi, ogni discorso perde il proprio senso: quante sono le domande alle quali l’uomo non sa rispondere… Solo se la terra è disposta ad accogliere la croce d’oro, la logica dell’amore folle di Dio, solo allora i frammenti potranno ritrovare ordine e senso e sarà possibile comprendere le Scritture, intuire che la morte non chiude l’orizzonte ma lo apre alla vita, alla luce.
All’interno del cammino c’è il momento della semina, la parola Dio viene donata perché porti frutto: ciascuno di noi è terreno in cui Dio sparge il seme della vocazione cristiana, la quale è incontro tra la libertà imperfetta dell’uomo e quella perfetta di Dio.
L’accoglienza (figura 3)
Il misterioso viandante li ascolta con attenzione e poi apre la loro mente alla comprensione delle Scritture; il caldo di quelle parole, non fredde e asettiche spiegazioni, ma coinvolgenti riferimenti a fatti che loro hanno visto, a parole che loro hanno già sentito. Il cuore dei due si riscalda, la memoria si risveglia dal torpore, all’amarezza della delusione subentra piano la speranza di un possibile ri-inizio, di un possibile ritorno a ciò che avevano visto e che aveva conquistato il loro cuore.
Eccoli ora sulla soglia: la porta è aperta, una tavola con una bella fruttiera campeggiano in primo piano ad indicare la quotidianità dell’esistenza; i due invitano il misterioso pellegrino ad entrare e a restare con loro per quella sera, per quel brano di cammino fatto insieme. Se prima c’erano delle ombre ora è pura luce, se prima erano piegati dalla delusione ora sono eretti, in atteggiamento di supplica, se prima i loro occhi erano ciechi ora vedono e insieme guardano il loro compagno di cammino. Il pellegrino è una forma scura contro la luce dello sfondo, si nota il bastone, il suo leggero piegarsi: accetta l’invito e con loro si siederà a mensa.
La cena (figura 4)
Sono entrati, si sono seduti, il momento è conviviale e solenne insieme. Il tutto è misterioso, a partire dai colori usati, dai simboli che si notano (una croce), dal fondo sagomato su cui si stagliano i tre personaggi. Al centro il pellegrino ha il volto in parte in ombra (come non ricordare lo stesso quadro di Caravaggio?), gli occhi abbassati, il gesto benedicente sulla coppa che ha davanti. Il discepolo a sinistra, con il volto in ombra, guarda rapito con sguardo intenso l’ospite, mentre l’altro, nella luce, versa del vino al convitato. Momento di convivialità e di attesa, di parole lente, soppesate, di silenzio carico di ascolto per quell’uomo che riscaldava il cuore, per quelle parole che svelavano una speranza nuova. Un aspetto importante, il tavolo non ha gambe, ma è sorretto dal Cristo, con chiara allusione simbolica al bisogno di farci sostenere nella nostra vita, nelle nostre difficoltà da Gesù.
La scomparsa (figura 5)
L’atto benedicente della tavola precedente ha rivelato l’identità del misterioso ospite: era Lui, era Gesù! Sconcerto e meraviglia si legge nello sguardo di uno dei due e nella mossa repentina dell’altro, tanto da far cadere la sedia su cui era seduto. Dietro a loro la luce e una piccola croce a segnare l’evento miracoloso cui hanno assistito, ad identificare il misterioso pellegrino che li ha ascoltati e li ha istruiti. Il tavolo è ancora apparecchiato, il mestolo è ancora nella zuppiera eppure non è tempo di stare, di fermarsi, dopo lo sconcerto e la meraviglia i due dovranno riprendere di nuovo il cammino.
Il ritorno (figura 6)
E così avviene. La tavola è ancora imbandita: piatti, posate, bicchieri pieni, la zuppiera, il candelabro spento, la tovaglia raccolta, i tovaglioli abbandonati, la sedia rovesciata… tutto parla di un’uscita frettolosa, tanto che la porta è ancora spalancata e fuori si vede un cielo nitido, blu intenso, punteggiato dalle stelle. La soglia è aperta così come il loro cuore e la loro mente si sono aperti alla speranza e alla comprensione. Non è tempo per commentare, ma di annunciare ai fratelli a Gerusalemme quanto è avvenuto, che il Signore è veramente risorto e si accompagna misteriosamente ai suoi.
Interessante