La carità ci riguarda?

Riflessione a margine dell’incontro promosso dalla Caritas Santa Marta il 1 dicembre sulla relazione tra carità e sua espressione comunitaria.

Da quando si è costituita la Caritas promuove dei momenti di incontro per la comunità, specialmente nei tempi forti, quale questo nel periodo di Avvento appena iniziato.

Questi  incontri  non riguardano principalmente la Caritas, quello che fa, quello che si propone di fare, probabilmente abbiamo pensato: magari perché no, andiamo a sentire cosa fa la Caritas.

Questo incontro è un invito a pensare alla  carità come dimensione di fede personale e comunitaria e pone principalmente una domanda, anche se nella presentazione dell’incontro viene riportata in modo affermativo: ci riguarda?

Il Papa quando si e’ recato a Lampedusa ha detto queste parole: “La cultura del benessere, che ci porta a pensare  a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza.  In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!      Signore, in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo Padre perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore”.

Parole forti, parole dure. Il Papa ha parlato solo per gli scafisti, i corrotti, i potenti della terra o anche per noi?

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Penso proprio che siamo tutti chiamati a rispondere. Cosa ci rinfaccia il Papa, due cose: l’indifferenza e gli alibi con cui la giustifichiamo.

L’indifferenza è quella che abbiamo costruito con la nostra società del benessere dove conta solo l’individuo con i suoi interessi. Dove tutto è bene se risponde al nostro tornaconto personale. Stiamo bene noi, stiamo bene tutti, non vogliamo sapere quanto questo benessere costa in termini di ingiustizia, soprattutto per chi vive nel sud del mondo. Su questo benessere abbiamo costruito le nostre certezze. Certezze che si stanno sgretolando sotto i colpi della crisi economica, del terrorismo, delle migrazioni.

Gli alibi sono tutte le giustificazioni che mettiamo davanti, cosa possiamo fare noi?  E’ facile e comodo nascondere le nostre responsabilità personali dietro il paravento del sistema. Senza dubbio noi da soli non possiamo risolvere questi problemi. Dobbiamo fare però la nostra parte con i nostri comportamenti, con la nostra attenzione, con la consapevolezza ed i rapporti che costruiamo in questa direzione.

Il Signore conosce ciascuno di noi ad uno ad uno, non ci classifica come massa:  “perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati” (Matteo 10,30). E’ un atteggiamento di attenzione, di misericordia. Dio ha a cuore la nostra vita, quella di tutti, e vicino a ciascuno di noi.

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Dio ci chiede però anche di farci strumento della sua misericordia, di prenderci a cuore la fragilità, la debolezza, la povertà, il dolore. Tutto questo lo incontriamo tutti i giorni, tutti i giorni ci viene chiesta una risposta alla domanda: “mi interessa”? “mi riguarda”?

Nella sua infinita misericordia il Signore ci chiederà conto di questo, saremo chiamati a rispondere se non avremo saputo o voluto riconoscerlo in coloro che abbiamo incontrato, soprattutto gli ultimi.

Quindi questo “mi riguarda” vuole essere un impegno che ci prendiamo, con i nostri limiti e le nostre miserie, affidandoli al Signore insieme alla nostra volontà di bene.

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