Pubblichiamo un ottimo contributo al dibattito che imperversa sui simboli del Natale. In questo articolo pubblicato su Avvenire di domenica 13 dicembre Fabrice Hadjadj con acutezza, garbo ed anche con una certa ironia, replica ai paladini della neutralità religiosa e culturale.
Fabrice Hadjadj è uno scrittore e filosofo francese, di origine ebraica si è convertito al cattolicesimo nel 1998, porta un nome arabo poiché i genitori sono tunisini.
Niente è più universale dell’universo: a proposito di ospitalità
Alcuni preti, per meglio accogliere il fratello straniero, hanno pensato che fosse bene togliere dalle loro chiese la croce. Probabilmente ciò non basta a ottenere un luogo sufficientemente neutro. Certo, essi avevano già cominciato a rimuovere il papa, le vetrate, gli inginocchiatoi, la chiesa stessa – perché costruita a forma di croce latina – ma, seguendo questa logica, per essere del tutto accoglienti bisognerebbe sradicare la vegetazione tutto attorno, troppo caratteristica dei paesi del nord, cancellare i volti, troppo determinati rispetto a uno smiley, e non parlare più la propria lingua, troppo carica di letteratura nazionale e perfino confessionale.
Tutto questo si ricongiunge alle prospettive educative di certi sostenitori del laicismo: secondo un ex-ministro francese dell’educazione, la missione principale della scuola dovrebbe essere «strappare l’alunno da ogni determinismo familiare, etnico, sociale e intellettuale per dargli il potere di scegliere», come se la libertà potesse esercitarsi solamente contro il reale. Il luogo ideale dell’ospitalità sarebbe una stanza bianca, e forse ancor di meno. Perché qui, meno è più. Per essere più universali bisogna avere meno tratti particolari. E siccome soltanto i concetti sono perfettamente universali, mentre le cose sono sempre particolari, la posta in gioco diventa avvicinarsi il più possibile al nulla armati di grandi concetti astratti…
Mi pare al contrario che niente sia più universale dell’universo, con tutte le sue determinazioni sia naturali che culturali. E nulla è più accogliente di una casa familiare, con il suo nome proprio, la sua eredità, i suoi riti, la sua fede – beninteso, nella misura in cui questa è capace di aprire la sua porta. L’ospitalità tuareg consiste nell’offrire il tè sotto la tenda e conversare di cammelli e di Allah: se mi si offrisse vino di Bordeaux, e se la discussione evitasse tutto ciò che sta a cuore e che per questo potrebbe essere motivo di contrasto, non mi sentirei accolto allo stesso modo. Notiamo del resto un paradosso: colui che, in quanto ospitante, chiede la rimozione di tutti i simboli legati alla sua cultura, in quanto turista, esige che siano mantenuti i simboli del paese che visita.
La contraddizione è soltanto apparente: il mantenimento è quello di una cartolina e la cancellazione quella di un spazio di consumo. Cionondimeno, prima di potere essere accogliente, un luogo deve esistere, ed esistere umanamente, col suo genio singolare, oltre l’astrazione spaziale e la funzionalità pratica.
Isaia canta il Creatore come Colui che ha creato la terra: non l’ha creata informe ma l’ha formata perché fosse abitata (Is 45, 18). L’ospitalità divina non sta in una tabula rasa, ma nell’abbondanza screziata del cosmo, con le sue 12000 specie di formiche, le stelle innumerevoli, i lupi e gli agnelli, gli arcobaleni e i maiali, che sono anche simboli che non possiamo dire neutri. È questo del resto il principio dell’ecologia integrale, dove fare posto all’umano non significa eliminare gli altri esseri viventi.
Contro un universale integralista che dissipa tutto in due o tre astrazioni (che siano destra o di sinistra ) l’ecologia integrale pensa un universale di integrazione che rafforza la diversità delle cose come la diversità dei fiori sotto la luce del sole…
L’immagine è un contrasto e non una concorrenza: se ci fossero soltanto rose, e non margherite e neanche fiordalisi, la rosa stessa ci rimetterebbe e tenderebbe a diventare inodore ed incolore, poiché non avrebbe più bisogno di odore e colore per distinguersi. Per quanto mi riguarda e per ritornare al nostro esempio da partenza, per accogliere il fratello straniero, non toglierei la croce: la circonderei di fiori, e seguirei l’esempio del crocifisso.