La nuova canzone di Debora Vezzani si intitola “Inno all’amore” ed è ispirata al brano di San Paolo ai Corinzi nel quale viene esaltata la virtù della carità come dono di sé.
Il testo mette in musica le più belle parole mai scritte sull’Amore, ci ricorda il motivo per cui Dio ci ha creati e la missione che ci ha affidato. (Qui per la bella intervista a Debora Vezzani)
Dalla Prima Lettera di S. Paolo ai Corinzi:
“Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!”
L’inno all’amore corrisponde alla seconda parte dell’allegoria del corpo, quella che tratta la solidarietà delle membra nella unità. Per Paolo è l’amore che consente ai membri della Chiesa di operare insieme per il bene di tutti.
Il termine greco usato qui da Paolo è “agape” che può essere tradotto con “carità” o con “amore”. Tuttavia sembra meno opportuno tradurlo con “carità”, perché questa parola acquista talvolta un significato più ristretto. Si parla di carità come di un amore un po’ ristretto, di una generosità che non viene veramente dal cuore, ma è fatta superficialmente. L’agape, invece, è un amore generoso, che viene da Dio. L’Apostolo fa poi l’elogio dell’amore autentico, che viene dal cuore di Dio, passa per quello di Cristo e giunge ai nostri cuori. È un elogio meraviglioso, su cui dovremmo meditare a lungo. Paolo mostra che l’amore è paziente”.
L’occasione di questo inno è offerta dalla tentazione dei Corinzi di andare alla ricerca sensazionale dei carismi, come la glossolalia (parlare le lingue degli uomini e degli angeli) o la profezia, più che dell’amore fraterno. È azzardato dire che si tratta di una tentazione ancora oggi presente? Paolo afferma con forza che anche il donare sé stessi è vano senza la carità. “E se anche dessi in cibo tutti i miei beni agli affamati e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe”.
In questo brano della prima lettera ai Corinzi S. Paolo ci prende per mano e ci aiuta a comprendere esattamente che cosa significa per il cristiano «amare il prossimo», e più di ogni riflessione niente ci aiuterà tanto, quanto un’attenta e ripetuta lettura.
Basti un esempio:“La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine”. Paolo in queste espressioni giunge perfino a personificare la carità: ne parla come se fosse una persona, un soggetto vivo e autonomo: “è benevola, … non è invidiosa … non si vanta, non si gonfia, non cerca il suo interesse… non tiene conto del male… tutto copre, tutto crede…”: sembra che si stia parlando di una persona, di Dio stesso!
Dove si esercita la pazienza c’è l’amore, così come dove c’è benevolenza, e dove non c’è invidia, e non si cerca il proprio interesse, e non si gode dell’ingiustizia, là c’è l’amore.
L’amore verso Dio può realizzarsi con il più piccolo gesto anche di apprezzamento e gratitudine per quello che percepiamo di bello e buono, come nel più grande gesto di donare la vita per gli altri, purché tutto sia fatto in nome della carità e di Dio.
Chi è mosso dalla carità mostra un atteggiamento d’illimitata comprensione e fiducia nel fratello e non si arrende mai di fronte a nessuna difficoltà. Perfino la fede e la speranza non reggono di fronte alla carità, che è un amore che abbraccia tutti, che non può escludere nessuno e “che non avrà mai fine”.
La carità è il frutto di un cuore disponibile e comprensivo che cerca, a imitazione di Cristo, solo il bene dei fratelli. La carità è discriminante nella vita del cristiano. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri… perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me”.
Anche nel vangelo di Matteo riconosciamo l’importanza fondamentale dell’amore del prossimo: “Venite, benedetti del Padre mio… ho avuto fame…”. Certo le celebrazioni non sono marginali, non sono degli optional; Gesù ordina tassativamente: “fate questo in memoria di me”, ma tutto ciò ha una portata molto più ampia e un senso molto più pregnante del semplice rito.
Interessante questo brano tratto dall’«Autobiografia» di Santa Teresa di Gesù Bambino: “Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine della mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall’amore. Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l’amore è eterno. Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio. Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà.