All’inizio di questa crisi economica gli interventi legislativi in materia di occupazione e di tutela dei lavoratori si sono concentrati su chi il lavoro lo aveva già, scaricando sulle future generazioni le modifiche del mercato del lavoro aprendo alla flessibilità che il mercato chiedeva con insistenza.
Si sono così introdotte di fatto due tipologie di lavoro: quello protetto stabile con ammortizzatori sociali in uscita, in caso di crisi aziendali o perdita di lavoro e quello in entrata senza nessuna tutela di legge e neppure sindacale. Di fatto un’intera generazione di lavoratori esposta alla mercè del mercato e ai possibili arbitri della classe imprenditoriale. Da parte dei governi succedutesi si è portata avanti una politica di liberalizzazione nelle assunzioni senza la doverosa preoccupazione degli effetti contingenti e futuri. Molti sono stati i richiami a mettere mano a questa situazione di precarietà, che toglie futuro alle giovani generazioni, una giungla selvaggia dove le persone coinvolte rischiano di rimanerci precari a vita. Appelli rimasti inascoltati, anche per la complicità di concezioni dei diritti sindacali ormai inadeguate, applicabili solo alle grandi realtà aziendali, ma completamente dimentiche del resto del mondo del lavoro. Concezioni che hanno di fatto bloccato i tentativi di adeguare le regole per trasformare quella flessibilità selvaggia in opportunità di lavoro sano e continuativo.
Accanto al tema tutele del lavoro e dei lavoratori, rimaneva e rimane tuttora intatto il problema della creazione di nuovi posti di lavoro.
Papa Francesco, anche ultimamente, ha ribadito la necessità di creare lavoro, perché il lavoro significa dare dignità a chi lo esegue e dare speranza a una futura famiglia che va a formarsi.
C’è bisogno, dunque, di più lavoro e di lavoro meno precario.
Gli ultimi provvedimenti contenuti nel disegno di legge chiamato “Jobs Act” e realizzati con decreti governativi sembrano aver imboccato una strada diversa. Si tratta di una legge che non divide il mondo del lavoro, sostenendo da una parte le imprese che assumono a tempo indeterminato, limitando fortemente le assunzioni a tempo determinato, ed estendendo gli ammortizzatori sociali destinati a tutti i lavoratori dipendenti. Si comincia, inoltre, a ragionare sulla formazione al lavoro con un uso alternato studio-lavoro attraverso l’apprendistato. Si delinea una politica attiva del mercato del lavoro mettendo insieme ammortizzatori sociali, formazione e ruolo attivo di Stato, Sindacato e Imprese, per realizzare tempi più stretti di passaggio da lavoro a lavoro. Ma si può fare di più: non è infatti concepibile la richiesta di lavoro oltre quello previsto (lavoro straordinario) a fronte di situazioni di crisi aziendali incombenti; si abbia l’accortezza di ridistribuire meglio i carichi di lavoro affinché nessuno lo perda, con un uso intelligente della flessibilità e quando è necessario si privilegino i contratti di solidarietà rispetto agli esuberi. Questa tipologia di contratto dovrebbe essere considerata o anche diventare prassi ordinaria nella contrattazione aziendale per favorire la conservazione o anche la creazione di nuovi posti di lavoro. Rinuncia ad aumenti di salario e diminuzione degli orario di lavoro per favorire l’occupazione. L’emergenza lavoro non pare contingente. Secondo il parere di illustri economisti, se anche questa crisi passerà, le tecnologie avranno una evoluzione tale che non ci saranno opportunità di lavoro per tutti. È necessario dunque intraprendere nuove strade e nuovi strumenti dando maggiore udienza e spazio di considerazione al lavoro di cura della persona e dell’ambiente e puntando su forme di condivisione sia del lavoro che della sua assenza.
Alle comunità ecclesiali
Guardando soprattutto i giovani, ma anche a quelle mamme e a quei papà che hanno perso il lavoro a cinquant’anni, nel pieno della loro stagione produttiva e con sulle spalle la crescita di figli magari piccoli o adolescenti, le nostre comunità parrocchiali sono chiamate ad interrogarsi:
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sul sostegno umano e fraterno verso quanti sono in difficoltà;
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sugli stili di vita da adottare;
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infine sul farsi carico del futuro dei giovani perché sia meno fosco e pesante.
E questo accade se le nostre comunità esprimono voci profetiche e libere dinanzi a tante forme di ingiustizia e d’indifferenza e se mettono in campo con generosità risorse caritative non per elemosina, ma per interventi strutturali. Si pensi
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ai fondi di aiuto alle famiglie in difficoltà,
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ai lavori socialmente utili che negli Oratori e nelle Parrocchie possono essere occasione di coinvolgimento dignitoso di giovani e adulti.
Agli imprenditori cristiani
Chi è impegnato a mantenere produzioni aziendali, servizi e canali di commercio sa quanto sia difficile oggi generare lavoro non precario.
Agli imprenditori cristiani chiediamo ogni sforzo perché possano lanciare segni di novità con iniziative concrete,
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sfruttare appieno e con fiducia i dispositivi legislativi in materia di lavoro giovanile,
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creare reti associative che investano in questa direzione,
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aprirsi ai progetti di tirocinio e stage con scuole e mondo universitario.
Serve uno slancio di concreta fiducia, possibilmente non del singolo, ma di gruppi imprenditoriali e di categoria.
Serve un rinnovato patto per il lavoro, meno rivendicativo e più aperto a investimenti concreti, perché la storia soprattutto dei più giovani, spesso conosciuta dalle Parrocchie e dagli Oratori, non sia abbandonata a se stessa e i giovani non restino parcheggiati in una indefinita adolescenza.
Ufficio diocesano per la Pastorale giovanile
Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro