La risposta a questa domanda deve necessariamente dividersi in due parti. Dio ha voluto davvero così? E se sì, perché?
Circa la volontà divina al riguardo, c’è un testo chiave nel Vangelo di San Giovanni: “‘Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi’. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi’”. La missione – l’invio – di Gesù Cristo dura fino alla fine dei tempi. Si tratta, quindi, di una potestà conferita alla Chiesa perché la eserciti attraverso i suoi ministri. Ovviamente, quello che viene conferito non è un potere arbitrario: si deve perdonare in nome di Dio chi ha il pentimento necessario per i propri peccati, e non perdonare chi non lo ha. Ma per questo i peccati vanno manifestati. È il tribunale della misericordia divina, ed è quindi necessario conoscere la causa che si giudica, in questo caso i peccati del penitente.
Ciò non vuol dire che il perdono divino si circoscriva unicamente alla celebrazione del sacramento della Penitenza, ma che il cristiano deve ricorrervi ogni volta che sia possibile (e se non è possibile al momento, quando si possa). Rifiutare questo presuppone il fatto di voler porre le condizioni del perdono divino, e allora la ricerca di questo perdono diventa viziata. Le condizioni le pone l’offeso, non l’offensore. E non si deve dimenticare che alla Penitenza si va fondamentalmente per ottenere il perdono da parte di Dio, non semplicemente a tranquillizzare la propria coscienza.
Perché Dio ha voluto così? Ci sono una ragione teologica e dei motivi che potremmo definire umani. La prima ha molto a che vedere con la natura della Chiesa, che è la continuità di Cristo nel mondo, che trasforma il popolo di Dio in Corpo di Cristo, di modo che Gesù agisce attraverso di lei per donarci i mezzi di salvezza, soprattutto la dottrina e la grazia, quest’ultima principalmente con i sacramenti. La grazia del perdono non è un’eccezione, e si distribuisce ai fedeli attraverso il mezzo più adeguato e allo stesso tempo voluto da Dio: il tribunale di misericordia istituito da Gesù e configurato come sacramento (non si deve dimenticare che il sacerdote perdona non da parte di Cristo, ma “trasformandosi” nella persona stessa di Cristo: “Io ti assolvo…”).
Le ragioni umane sono più facili da comprendere. La prima è che garantisce l’obiettività. Questo è molto importante quando ci si rende conto della facilità con cui si possono scusare i propri errori, pensare che il proprio caso debba rappresentare un’eccezione, togliere importanza a ciò che è oggettivamente grave. Ne abbiamo esperienza tutti, ma in genere è esperienza altrui, non propria. La confessione, insomma, ci obbliga a dire pane al pane e vino al vino.
La seconda è collegata alla precedente. La confessione rappresenta un magnifico modo per formare la propria coscienza. Ci sono persone dalla coscienza lassa, che tendono a non dare importanza a ciò che ne ha, e persone dalla coscienza scrupolosa, a volte perfino immerse nel patologico, che esagerano qualsiasi cosa. Ci sono coscienze lasse per alcune cose e scrupolose per altre. Altre volte ci sono problemi complessi che suscitano dubbi, o situazioni in cui non si sa molto bene come procedere. A volte i dubbi possono derivare dalla difficoltà di valutare fino a che punto si era coscienti di ciò che si faceva o si pensava, o di separare un peccato da quella che è solo una tentazione, a volte forse ossessiva, o semplicemente uno stato d’animo. Per tutto questo, la confessione è guida e luce. È facile comprendere che la tranquillità di coscienza che si genera è un bene impagabile.
La terza ragione riguarda quanto sia conveniente esprimere a voce alta (che evidentemente deve sentire solo il confessore) il dolore interiore che si prova per via dei propri peccati. A volte questa convenienza si apprezza quando vediamo che, per mancanza di un canale idoneo, ci sono persone che si sfogano nel modo più inopportuno, raccontando ciò che pesa loro nel momento e alle persone non adatte (a volte si sente dire “Bisogna pur dirlo a qualcuno”), o anche su mezzi di comunicazione pubblici come radio o televisione. È facile capire che questo sacramento presuppone un aiuto psicologico non trascurabile.
La quarta ragione è una cosa che al giorno d’oggi viene sottolineata molto. Siamo in un’epoca in cui fiorisce ogni tipo di consulenza personale, alcune anche sulle questioni più intime. Proliferano psicologi, consuenti matrimoniali e qualsiasi tipo di coaching. Nel sacramento della Penitenza, il sacerdote è chiamato ad essere giudice – di misericordia, si intende –, ma anche medico di anime, pastore e consigliere spirituale, offrendo così un grande servizio a chi si accosta a questo sacramento.
Si potrebbero trovare anche altre ragioni, ma queste sono le principali. Esprimono chiaramente la saggezza di Dio – che si adatta all’essere umano, con i suoi nobili desideri ma anche con le sue limitazioni e le sue miserie – e anche la sua misericordia, perché non si limita a concedere il perdono, ma dà anche pace alle coscienze e un aiuto inestimabile per procedere con rettitudine e guadagnarsi la vita eterna.
Autore: Julio De La VegaHazas [Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti