Obiezione di coscienza. La risposta della Chiesa alla legge sulle Dat

Di seguito l’intervista di Avvenire a don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio per la pastorale della salute della Conferenza episcopale italiana.

Il biotestamento è legge: oggi gli italiani sono davvero più liberi?
Questa decisione viene presentata come una grande conquista di libertà. Credo che la libertà debba essere orientata alla costruzione del bene della persona e del bene comune. Non trovo questi tratti nella legge approvata. Anzi, trovo che dare da mangiare e da bere a una persona è stata definita ‘terapia’, perché viene somministrata con un presidio clinico. Credevo che mangiare e bere fosse un diritto naturale della persona, a meno che non vi siano controindicazioni cliniche. Così come garantire la libertà di obiezione di coscienza fosse un diritto costituzionale garantito. Qui si inseriscono delle eccezioni.

Quindi il giudizio su questo testo di legge è negativo?
La valutazione non è positiva, e come cattolici non possiamo riconoscerci con questo testo. Sarebbe stato opportuno riflettere con serenità su alcune correzioni e miglioramenti possibili. Si potevano ascoltare molti medici che hanno espresso parere contrario. Una legge sul fine vita poteva essere utile, ma non questa. Correttamente è stata definita un’occasione persa. Il problema è che condizionerà la vita e il fine vita di molte persone.

Il cardinale Bassetti aveva chiesto un ripensamento su nutrizione e obiezione di coscienza, che non c’è stato. Ora cosa farà la Chiesa?
Quelle richieste erano il minimo per avviare un confronto che non c’è stato e l’accelerazione del voto ha tolto il tempo al dialogo e alla riflessione. Non possiamo porre in essere comportamenti che vanno in senso contrario alla difesa della vita. Opporremo una semplice obiezione di coscienza, un diritto costituzionale. Se ci sarà un conflitto tra la legge dello Stato e la legge del Vangelo, sceglieremo la seconda.

In pratica, cosa significa obiezione di coscienza per i medici e per gli ospedali religiosi?
Nel momento in cui un paziente venisse ricoverato in un ospedale cattolico e presentasse delle Dat volte a porre termine alla propria vita o lesive dell’integrità della persona non eseguite. Verranno spiegate le motivazioni e potrà scegliere una struttura diversa.

Perché considerate la legge difficilmente applicabile?
Sono sette anni che vivo in un grande policlinico romano e conosco il vissuto quotidiano di reparti e operatori sanitari. Al momento non siamo in grado di recuperare per via elettronica l’ultima Tac di un paziente o una radiografia. Sarà difficile conoscere le reali Disposizioni del paziente e verificare la loro autenticità. Nasceranno molti conflitti che si tramuteranno in contenziosi legali.

La relazione di cura ne esce indebolita?
Sicuramente ne esce sbilanciata, quindi indebolita. Spostare tutto il peso della responsabilità delle scelte sul paziente, alle quali il medico si deve attenere, significa delegittimare il ruolo del medico. Se da una parte il ‘modello paternalistico’ non era più sostenibile, ora si estremizza dal lato opposto. Solo nel recupero di fiducia reciproco tra medico, paziente, familiari e assistenverranno ti, tornando a ricostruire quella alleanza relazionale terapeutica, si può trovare il punto di equilibrio per la cura e il benessere integrale della persona.

In un Paese di vecchi e di malati cronici, quale sarà l’impatto di una norma come questa?
Ci sono persone che hanno smarrito il senso della vita e forse pensano che morire sia una scelta logica. Ma ce ne sono tante altre che vorrebbero vivere, ma si sentono di peso, anche economico, per le loro famiglie. Vedere nei volti dei loro cari la fatica della cura potrebbe scoraggiare la voglia di vivere. Le famiglie, ora cosiddette caregivers, senza sostegno da parte dello Stato, rischiano di soccombere. Manca una rete di servizi sul territorio che aiuti le famiglie a curare al meglio i loro cari. Papa Francesco ha indicato queste famiglie per la loro «straordinaria testimonianza d’amore».

Questa legge può aprire la strada all’eutanasia in Italia?
Di fatto è già successo. L’eutanasia si può applicare in tanti modi diversi. Quella attiva prevede che si facciano azioni concrete per porre fine alla vita di una persona. Ma se il paziente rifiuta la terapia, rifiuta alimentazione e idratazione (con questa legge può farlo), la sua patologia progredirà; dovremo sollevarlo dal dolore con la palliazione fino a quando non diverrà sedazione. L’avremo semplicemente lasciato morire, con stile ma senza umanità.

 

Fonte: www.avvenire.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *