D’inverno, con il freddo, non si possono tenere aperte le porte! Certo, ma forse osare riaprirle (quelle del cuore, delle relazioni, della fiducia…) è l’unico modo per scaldarsi, vivere e sperare. Quante porte vengono invece sbattute e sbarrate, quanti confini si attrezzano di muri e trincee. Quante porte restano mute e immobili, davanti a chi bussa per chiedere aiuto. Anche le porte delle chiese dovrebbero essere più aperte, come braccia materne, per offrire ascolto e consolazione, a chi magari senza saperlo cerca proprio Dio…
È noto il detto “quando una porta si chiude, si apre un portone” (attribuito allo scienziato A. Graham Bell). Ne conosciamo anche una versione “religiosa”, che suona così: “Quando Dio chiude una porta, apre una finestra”. Ce lo diciamo quando la vita ci prova, quando siamo in crisi, quando sembra di essere in un vicolo cieco. E oggi questa sensazione si fa collettiva, come una pandemia dell’anima, a cui l’unica reazione possibile pare quella della rabbia o dell’indifferenza, della violenza o della paura, della piccola e grande guerra.
Ma il presepe accade, anche oggi, più che mai. Non come romantica cornice delle feste, ma come mistero ed evento dell’Incarnazione di Dio nell’uomo, nella storia. E il presepe, che sia nella grotta o nella stalla, non ha mai porte, ed è illuminato dalle stelle… per accogliere pastori e Magi, tutti chiamati all’incontro con il Salvatore del mondo.
Quest’anno, il presepe apre una porta speciale, detta “santa”, per farci vivere il Giubileo, speciale esperienza di grazia e di fede, che il popolo di Dio potrà fare ovunque, non solo a Roma o nelle chiese giubilari. Ci faremo tutti “pellegrini di speranza”: questa infatti è la condizione umana da riscoprire, la chiamata al cammino spirituale da intraprendere. Lo faremo con semplicità, in tanti modi, luoghi e momenti, cominciando dalle nostre cattedrali nel pomeriggio di domenica 29 dicembre. Per riaprire porte dai cardini arrugginiti e cigolanti, mettendo olio sulle ferite delle nostre storie, nella riconciliazione che la Misericordia di Dio rende sempre possibile.
Questo mondo chiede alla Chiesa di vivere la sua missione nello stile della prossimità. Percò i “veri cantieri del giubileo” sono cantieri di ascolto, condivisione, rinnovamento. Dove è benvenuto l’apporto di ciascuno: è sufficiente ospitare i vicini, conoscere le periferie, andare incontro a qualche solitudine, vincere pregiudizi e dialogare con chi ci appare diverso e distante… per fare insieme Giubileo, sperimentando che la gioia del Natale cambia lo sguardo su ogni cosa, ogni giorno dell’anno.
Il Dio fatto bambino ci salva e ci sfida, e ogni bambino ci ripropone la responsabilità di un concreto impegno perché il suo futuro sia degno dei figli di Dio, un futuro di pace e di giustizia. Non possiamo rimandare, perché questo è il momento tanto critico quanto favorevole, l’anno di grazia, quando Dio stesso ci bussa alla porta per rinnovare bellezza e forza della nostra piccola vita.
Non credo esistano auguri più belli!
+Antonio Napolioni
Vescovo di Cremona