Di seguito pubblichiamo il messaggio per la S. Pasqua che il vescovo Lafranconi rivolge all’intera diocesi.
Che cosa significa per me celebrare la Pasqua quest’anno? Significa riconoscere in essa la chiave che consente di trovare il senso di quanto stiamo vivendo in questo tempo di rapidi cambiamenti in cui si intrecciano speranze e incertezze, timori e slanci. E la chiave è Gesù Cristo, nella vicenda che conclude la sua esistenza terrena con la morte e la risurrezione. La celebrazione della Pasqua, come ogni altra celebrazione liturgica, ne fa memoria, non come semplice rievocazione del passato, ma come azione che attinge oggi all’acqua scaturita da quella inesauribile sorgente di salvezza che è la morte-risurrezione di Cristo. Ogni celebrazione liturgica, infatti, non è semplicemente un rito: è l’attualizzazione di un evento che compenetra la storia di ogni tempo e di ogni persona, facendone emergere il significato e il valore che vanno oltre il tempo. È, appunto, una chiave di lettura per comprendere l’oggi, in quanto svela all’uomo il suo destino ultimo: come per Cristo, così anche per lui morte e risurrezione sono inseparabili. Non c’è risurrezione senza attraversare l’esperienza della morte, la quale, però, viene per così dire trasfigurata dalla risurrezione, in quanto non è più l’ultimo e invalicabile termine dell’umano, ma l’introduzione al suo definitivo compimento.
È questo ciò che intuisce e inaspettatamente dichiara il centurione pagano che nella morte di Gesù intravede la sua glorificazione e confessa: “Veramente costui era Figlio di Dio” (Mt 27,54). È questo ciò che esprime, con la voce sommessa e vibrante per la forza della fede, la madre di due dei ventun cristiani copti sgozzati dai fanatici dell’ISIS il 15 febbraio scorso in Libia. Se vedesse passare per strada chi ha ucciso i suoi figli che cosa farebbe? “Chiederei a Dio di aprirgli gli occhi e gli chiederei di venire a casa nostra perché ci ha aiutati ad entrare nel Regno di Dio”. Parole che qualcuno potrebbe giudicare insensate, che comunque non trovano giustificazione puramente nella ragione. Eppure sono parole che sentiamo profondamente vere, non tanto per acquietare le nostre ansie quanto per motivare il nostro impegno quotidiano a costruire quella “civiltà dell’amore” che rende vivibile la vita e fraterna la società.
In questa impresa c’è posto per ogni uomo e in primo luogo per chi è cristiano in forza della fede nel Signore Risorto. Non perché i cristiani sono i più bravi, ma perché ne hanno il dovere, avendo accettato dal Signore la missione di essere “luce del mondo e sale della terra”. Ce lo ricorda la liturgia della Veglia pasquale quando ciascuno di noi attinge dalla fiamma del Cero pasquale – simbolo di Gesù Cristo – la fiamma della propria candela rievocando la consegna, ricevuta al momento del proprio battesimo, di camminare sempre come figli della luce fino all’incontro con il Signore.
Auguro a tutti di celebrare la Pasqua non solo come rito, ma come grazia che, rinnovando la nostra vita, trasforma anche la società. È il desiderio, anzi il bisogno di tutti. Sia l’impegno di ciascuno.
+ Dante Lafranconi
vescovo di Cremona