Lo spettacolo della Croce – Meditazione sulla Passione

di Don Roberto Seregni

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Testo della meditazione

Lo spettacolo della Croce – don Roberto Seregni

 E’ uno spettacolo, dice Luca nel suo Vangelo.

  Sì, lo spettacolo dell’amore. Quello vero. Quello che lascia senza fiato. L’unico per il quale si può morire. O morirne.

  E’ la spettacolo della passione, quella di Gesù per me, per te. Sì, caro amico, Gesù è appassionato di te. Tu sei la Sua passione.

  E’ lo spettacolo del Figlio di Dio che svela nella sua nudità crocifissa il vero volto di Dio. Nessun effetto speciale, nessuna flotta di angeli soccorritori, nessuna controfigura. Lui nudo, straziato, scarnificato è la trascrizione più vera del volto di Dio.

  Quell’uomo appeso alla croce, abbandonato e tradito è il nostro Dio.

  Prima di andare avanti, mi chiedo e ti chiedo, se davvero lo vogliamo un Dio così.

  Un Dio senza bacchetta magica, che si china sui piedi zozzi dei suoi discepoli e li lava con cura, un Dio che consegna la sua memoria nel fragile gesto del pane spezzato, che non toglie il dolore ma lo condivide, che non ci salva dalla morte ma nella morte, che perdona e persino giustifica i suoi assassini, che muore abbandonato da tutti i suoi amici, che nella solitudine più totale e straziante non maledice ma consegna il suo spirito al Padre.

  Sicuri, cari amici? Lo vogliamo un davvero un Dio così?

  Eccolo.

  Il Rabbì condannato a morte per bestemmia sale al Calvario.

  Il suo corpo è già distrutto dai colpi dilanianti del flagello e ora, sulle sue spalle scavate a carne viva, viene gettata la trave della Croce.

  Sale attraverso la folla distratta del mercato di Gerusalemme, folla infastidita da quel macabro corteo. Forse qualcuno di loro aveva gridato “Osanna al figlio di Davide”… Ma ora no, non più. Povero Gesù, ha fatto propria una brutta fine, doveva stare più attento, più furbo, più cauto. Peccato, davvero.

  Dicono che è stato uno dei suoi a tradirlo…

  Gesù sale, il peso della Croce e della solitudine lo schiacciano. Cade. Si rialza.

  Da sotto la corona di spine scruta i curiosi sulla via del Calvario, cerca qualcuno dei suoi amici, dei dodici. Non sono passate nemmeno ventiquattrore da quando la presa sicura delle mani del maestro ha inciso un sigillo d’amore sui loro piedi. Ancora se lo vedono in ginocchio, davanti a ciascuno di loro, uno per uno. Pure per Giuda, il traditore.

  Ma ora la paura e la delusione sono troppo forti. Loro si aspettavano altro, attendevano una rivelazione potente, una presa di possesso trionfale della capitale terrena del Regno di Dio, e invece…

  Invece Gesù schiatta sotto la Croce. Cade, ancora. Questa volta si rialza a fatica. Il legno è troppo pesante, le ferite sulla schiena bruciano come il fuoco. Il Rabbì non ce la fa più.

  “Deve arrivare vivo in cima al Calvario”, si dicono i soldati. Ed è l’ignaro Simone di Cirene a farne le spese. Nessun amico ha alleggerito la salita del maestro. Nessuno dei suoi ha prestato le spalle, le hanno girate. E basta.

  Il Cireneo, di ritorno dai campi, è caricato della croce.

  Gesù barcolla. Sale. Ogni passo è uno strappo.

  Ci siamo. Il corteo è arrivato in cima, sul luogo detto Cranio.

  Gesù è terra. I polsi schiacciati sulla trave. Per la prima volta il falegname Gesù è dalla parte del legno. Conosce il rumore del martello sui chiodi, ma non il tonfo sordo e straziante della carne.

  Su quel legno finisce il cammino del Rabbì.

  “Salva te stesso” gridano i capi, i soldati e uno dei malfattori.

  “Salta giù, forza! Sorprendici con uno dei tuoi bei miracoli! Non sei forse il salvatore? Allora salvati e crederemo in te! Coraggio, cosa aspetti! Non hai detto che il Padre ti ha mandato, che tu sei il Cristo? Dove sono gli angeli di Dio? Perché non vengono a salvarti?”

  Ma la logica di Gesù è un’altra. Non è salvandosi che dona salvezza, non è facendo piazza pulita dei suoi avversari che svela la sua potenza, non è con un colpo di scena finale che rende evidente la sua regalità.

  No, non è lo stile di Gesù. Lui sulla Croce ci rimane. E’ perdendosi che dona salvezza, è con la sua impotenza che svela la sua forza, è rimanendo appeso alla croce che svela la nuova regalità dell’amore.

  Ora siamo alla fine. Ogni respiro è una frustata.

  L’ultima parola è per il Padre, a Lui il Figlio riconsegna lo Spirito.

  E poi il silenzio.

  Tutti gli occhi sono puntati su di Lui.

  Poi verranno, lo porteranno via di corsa per metterlo nel sepolcro che il coraggioso Giuseppe d’Arimatea metterà a disposizione per Gesù.

  Le donne si organizzeranno per preparare il suo corpo alla sepoltura.

  I dodici si sprangheranno nel loro rifugio, paurosi e codardi.

  I cuori di tutti i discepoli del Rabbì di Nazareth saranno invasi dal dolore, dalla tristezza e dalla delusione.

  E’ andata ancora così: il forte ha vinto, il debole ha perso. La solita storia. Dovevamo aspettarcelo.

  Chiuderanno il sepolcro e seppelliranno pure tutte le speranze che Gesù aveva acceso nei loro cuori. Un fuoco inutile.

  Ma i discepoli ancora non sanno.

  Ascoltano il silenzio e pensano che sia la fine.

  Invece no, quel silenzio è quello prima della tempesta, è il silenzio che precede l’esplosione.

  L’Amore non può stare a marcire in un sepolcro.

  L’Amore, quello di Gesù, lo farà esplodere.

  E sarà Pasqua.

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