Se l’autunno sarà caldo, l’estate è già torrida. Non stiamo parlando del clima ma dell’impatto economico e sociale della pandemia sulle famiglie italiane. Le file davanti alle sedi della Caritas, delle mille e più Misericordie, delle tante realtà del Terzo settore laiche e non che formano il reticolo di Bene del nostro paese, parlano più dei dati statistici: in Italia si registra un aumento della povertà senza precedenti in questo scorcio di inizio millennio.
Caritas italiana ha monitorato gli interventi di aiuto tra marzo e maggio di quest’anno: oltre 450.000 persone, di cui il 61,6% italiane. Di queste il 34% sono “nuovi poveri”, cioè persone che per la prima volta si sono rivolte alla Caritas. Il dato sull’incremento inoltre, pur essendo trasversale da Nord a Sud del paese, appare più marcato nelle regioni del Mezzogiorno dove le nuove prese in carico registrano un +153%.
Tra i nuovi volti incontrati dalle Caritas ci sono italiani e stranieri, giovani adulti ma anche anziani soli, famiglie con minori, nuclei con disabili. Si tratta di persone che prima dell’emergenza, potevano contare magari su un impiego precario, stagionale o irregolare; o ancora piccoli commercianti, lavoratori autonomi, ma anche persone che versavano già da tempo in uno stato di disoccupazione. A loro si aggiungono i cassaintegrati o liberi professionisti in attesa dei trasferimenti monetari di protezione e assicurazione sociale stanziati ma non ancora accreditati. A fare la differenza in questo particolare momento di “attesa” è la possibilità o meno delle famiglie di “attutire il colpo” attingendo ai propri risparmi, evitando così lo scivolamento in uno stato di indigenza.
Il nostro paese, se in passato si connotava infatti per essere una nazione di “risparmiatori” oggi risulta profondamente cambiato (a sferzare un duro colpo in tal senso è stata la grave crisi economica del 2008 i cui effetti sono ancora visibili). I dati Ocse ci collocano in fondo alla classifica dei paesi economicamente avanzati, con un tasso di risparmio netto delle famiglie del 2,5%, a fronte di una media europea del 6% (ben distanti dagli anni novanta quando l’incidenza dei risparmi superava il 15%). A fare da sfondo, una crisi occupazionale che, in varie forme, continua ad attanagliare il paese. E in tal senso non c’è solo il problema della disoccupazione, quasi raddoppiata dagli anni che anticipano il 2008, ma anche quello della qualità del lavoro, data la forte crescita del part-time involontario, dei lavori intermittenti e precari. Per questo si parla sempre più della nuova categoria dei working poor: chi appartiene alla categoria dei lavoratori poveri, cioè coloro che, pur avendo un’occupazione, si trovano a rischio di povertà e di esclusione sociale a causa del livello troppo basso del loro reddito, dell’incertezza sul lavoro, della scarsa crescita reale del livello retributivo, dell’incapacità di risparmio, eccetera. La prova più evidente di un lavoro che spesso non riesce a fornire una adeguata protezione sociale. Per chiudere, l’Italia non è arrivata preparata a questa nuova sfida, che segue anni di stagnazione economica, di consolidamento della povertà assoluta e di inasprimento delle disuguaglianze sociali. Se l’autunno sarà caldo, l’estate è già torrida.
Fonte: azionecattolica.it