Courtney Baker è una donna americana, madre di tre bambine. Una delle figlie ha la sindrome di Down. Baker ricorda nella lettera il primo incontro con il medico, specialista prenatale, che non voleva fare vivere sua figlia, suggerendole ripetutamente di abortire, quando aveva bisogno di capire che cosa avrebbe significato avere una figlia Down: «Sono venuto da te nel momento più difficile della mia vita. Ero terrorizzata, ansiosa e disperata. Non sapevo ancora la verità sulla mia bambina. Invece di sostenermi e incoraggiarmi», si legge nella missiva, «mi hai suggerito di terminare la vita della nostra bambina. Io ti ho detto il nome [che avevamo scelto per lei] e tu mi hai chiesto di nuovo se avevo capito quanto bassa sarebbe stata la nostra qualità della vita con un figlio con la sindrome di Down. Ci hai suggerito di riconsiderare la decisione di andare avanti con la gravidanza. Da quella prima visita, abbiamo temuto le successive. Mi hai reso il momento più difficile della mia vita quasi insopportabile, perché non mi hai mai detto la verità. Che la mia bambina era perfetta».
La madre si dice non «arrabbiata, ma triste» e «mi si spezza il cuore all’idea che potresti aver ripetuto a un’altra mamma oggi che un bambino con la sindrome di Down diminuisce la qualità della vita. Ma soprattutto sono triste perché non avrai mai il privilegio di conoscere mia figlia, Emersyn, che non ha solo aumentato la nostra qualità di vita, ma a toccato il cuore di migliaia di persone».
Infatti, «lei ci dà uno scopo e una gioia impossibili da esprimere. Ci ha aperto gli occhi alla vera bellezza e all’amore puro. La mia preghiera», conclude la lettera, «è che nessun altra mamma passi quello che ho passato io. (…) Prego anche che tu, quando vedrai il prossimo bambino con la sindrome di Down tutto avvolto nell’utero della madre, possa guardare a quella mamma e, vedendomi, dirle la verità: “Il tuo bambino è perfetto“»
Fonte: www.tempi.i