Sono importanti le parole, ci aiutano a fissare concetti e a comunicarli agli altri. Ci sono parole che in associazione ripetiamo spesso, che dicono il senso del nostro stare assieme, che usiamo per spiegare chi siamo, che cosa facciamo, quale stile ci accomuna. Parole piene di senso e significato, frutto della riflessione e della vita di tanti soci e responsabili di ogni parte d’Italia, che nel corso del tempo hanno costruito prima, e ripensato poi, l’Azione cattolica. Ma le parole acquistano nuovo significato con il passare del tempo, acquisiscono altre sfumature, si impongono con una forza diversa. Essere laici che sanno leggere e vivere questo tempo ci chiama allo sforzo di trovare parole nuove per dire le cose importanti, quelle in cui crediamo da sempre, parole nuove per arrivare a tutti e far breccia nel cuore di ognuno. E allora quali parole per dire l’Ac oggi, per ridire la bellezza e le motivazioni che ci spingono ad appartenerci, per farla conoscere e incuriosire chi non l’ha incontrata, per far ricredere chi ha avuto dell’Ac un’esperienza negativa? Proviamo a dirne cinque.
Anzitutto stare. Noi in Ac vogliamo starci dentro con tutte le scarpe, da protagonisti appassionati e consapevoli. Vogliamo starci quando tutto va bene, ma anche quando si sente la fatica dell’imparare a camminare assieme e del percorso lungo. Vogliamo starci perché crediamo che l’Ac ci può aiutare a essere cristiani che amano la loro Chiesa e cittadini che hanno a cuore la vita delle loro città. Starci non è sedentarietà, non è accontentarsi, ma è piuttosto imparare ad amare i luoghi e i tempi in cui il Signore ci ha posto, sentirli propri, e, con la forza di chi ama profondamente qualcosa che sente suo, dare ciascuno un contributo personale, bello e a propria misura.
Ed ecco la seconda parola, qui. Siamo chiamati a stare nei luoghi della quotidianità nella sua semplicità e complessità, con i suoi interrogativi e le molteplici sfumature. Vivere con passione le piccole e grandi cose della vita è il modo del laico di Ac per contribuire a costruire il bene comune a partire dall’umanità, dalle esperienze e dalle competenze di ciascuno. E questo essere ancorati alla vita vera delle persone ci porta a livello ecclesiale a essere dedicati alla Chiesa diocesana, vissuta giorno per giorno nella parrocchia, in cui, come dice il Progetto formativo, sperimentiamo «la concretezza di una Chiesa da amare ogni giorno nella sua realtà positiva e nei suoi difetti, da accogliere e sostenere, da sospingere al largo e servire con umiltà». E proprio a noi laici viene consegnata la sfida di portare nella vita della comunità parrocchiale il sapore della quotidianità, le fatiche e le attese, la bellezza dell’essere uomini e cristiani in questo tempo, affinché la parrocchia continui ad essere la «Chiesa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie» (cfr. Christifideles laici, 26).
Ed è estremamente significativo il fatto che siamo chiamati a farlo insieme, come associazione. Oggi in un tempo in cui la scelta associativa è considerata poco attuale, l’Ac crede che è un grande valore aggiunto potersi incontrare e dialogare, aiutarsi vicendevolmente e confrontarsi con rispetto, darsi obiettivi comuni da costruire a poco a poco. In questo compito tutti sono coinvolti, ragazzi, giovani e adulti, soci e responsabili: ognuno è chiamato a dare un contributo a questo «tirocinio di socialità e vita ecclesiale» (cfr. Progetto formativo, introduzione, par. 6) che è l’associazione.
Il dialogo tra persone diverse e tra generazioni è, inoltre, elemento necessario per far sì che l’essere associazione sia in sé molto formativo, al di là delle necessità di natura organizzativa. In Ac si impara il dialogo. E anche la scelta di essere ragazzi, giovani e adulti insieme può essere letta in tal senso. Unitarietà è camminare al passo di chi sta indietro, di chi fa più fatica, lasciarsi affascinare dalle diversità, pensare assieme la vita associativa dando ognuno il proprio contributo e la propria testimonianza. Dialogo che si esprime anche nella scelta della democraticità. Tutti i soci infatti sono chiamati a contribuire attivamente per costruire e delineare i cammini e le scelte dell’associazione a tutti i livelli, a sceglierne i responsabili. In Ac non si delega!
L’ultima parola è forse il più grande insegnamento dell’essere soci, la gratuità. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date»: proprio la consapevolezza di aver ricevuto un dono grande, la vita, la fede e la possibilità di viverla e accrescerla in associazione, ci porta a metterci al servizio senza volere e aspettarci nulla in cambio. Il contributo di ciascuno alla vita associativa è gratuito poiché è senza alcun corrispettivo, ma questa gratuità è anche da intendersi in modo più profondo, come pazienza. La pazienza di chi a fatica comprende che non sarà necessariamente chi ha seminato a raccogliere, ma chi attende e guarda con speranza i germogli. La gratuità, che diventa grande libertà, di chi sa che «noi serviamo l’Ac non poi perché c’interessa di fare grande l’Ac, noi serviamo l’Ac perché c’interessa di rendere nella Chiesa il servizio che ci è chiesto per tutti i fratelli. E questa credo sia la cosa veramente importante» (saluto conclusivo di Vittorio Bachelet alla seconda Assemblea nazionale).
(Questo articolo di Lucia Colombo e Michele Tridente è tratto dalla rivista dell’Ac Segno, numero di Febbraio/Marzo 2015)