L’arte incontra la Quaresima: la Resurrezione di Lazzaro

L’ARTISTA

IL CARAVAGGIO

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Michelangelo Merisi nacque nel 1571. Non è certo se il luogo di nascita sia stato Milano o Caravaggio dove la famiglia si era trasferita per sfuggire alla peste. E’ sicuro comunque che egli si firmò sempre Michelangelo Merisi da Caravaggio, per questo meglio conosciuto semplicemente come Caravaggio. Pittore, grande colorista e potente interprete della realtà, Caravaggio si compiacque di efficaci contrasti d’ombra e luci, mentre conduceva una vita avventurosa e vagabonda, lavorando un po’ in tutta Italia e particolarmente a Roma, in Sicilia e a Malta.
L’apprendistato del Caravaggio avviene a Milano (1584-1588) presso la bottega del pittore bergamasco Simone Peterzano. Dai pittori lombardi del Cinquecento ereditò il naturalismo e l’attenzione al dato reale.
Spirito inquieto, già nel 1590. Caravaggio trascorre un anno in prigione per un crimine inconfessato. Nel 1592 si trasferisce a Roma e nel 1593 lavora per alcuni mesi presso la bottega del Cavalier d’Arpino dipingendo nature morte di fiori e frutta. Nel 1595 è accolto in casa del cardinale Francesco Maria Del Monte, suo primo importante mecenate. Di questi anni sono i Bari, Riposo durante la fuga in Egitto (Roma, Galleria Doria Pamphilj), Bacco e la Maddalena penitente.
 Grazie al suo protettore entra in contatto con le più importanti famiglie romane e il 23 luglio 1599 ottiene la sua prima commissione pubblica: la Vocazione e il Martirio di san Matteo per la cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi.L’anno successivo inizia la Conversione di san Paolo e la Crocifissione di san Pietro per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo e, nel 1602, completa il ciclo della cappella Contarelli con la seconda versione del San Matteo e l’angelo. 
Le sue opere si caratterizzano in maniera sempre più incisiva per i forti contrasti luministici e l’intensa tensione drammatica. Nei primi anni del Seicento dipinge, ancora a Roma, il Sacrificio di Isacco e la Madonna dei pellegrini. A Genova nel 1605, per sfuggire alla giustizia in seguito al ferimento del notaio Mariano Pasqualone, dipinge l’Ecce Homo.
Il 26 maggio del 1606 uccide in una rissa Ranuccio Tomassoni da Terni; condannato a morte ripara prima presso i feudi dei suoi protettori e amici romani, ma poi si rassegna a rifugiarsi a Napoli dove lascia due capolavori, le Sette opere di Misericordia e la Madonna del rosario.
L’anno successivo si trasferisce a Malta dove esegue l’enorme tela con la Decollazione del Battista, unica opera firmata. Scoperto, riprende la fuga passando per Messina, Palermo e Napoli. Un anno prima della tragica morte dipinge la Resurrezione di Lazzaro e l’Adorazione dei pastori.
 Nel 1610, ottenuta la grazia papale, decide di tornare a Roma via mare, ma, raggiunto Porto Ercole, muore di febbre sulla spiaggia.

L’OPERA

LA RESURREZIONE DI LAZZARO

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MESSINA – MUSEO REGIONALE

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La Resurrezione di Lazzaro è un’opera molto controversa di Caravaggio, il maggior rappresentante della pittura e della storia dell’arte in generale, a cavallo tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600. Facente parte del suo ultimo periodo (solo un anno prima della sua morte), gli fu commissionata da un mercante genovese, Giovanni Battista de’ Lazzari. Caravaggio si era appena trasferito a Messina, anzi bisogna precisare che fuggì a Messina dopo essere fuggito dalle carceri di Malta, dove era stato imprigionato in seguito ad una rissa di cui l’artista fu protagonista, come era suo solito.

Come si diceva precedentemente, la Resurrezione di Lazzaro è un’opera dalla storia molto controversa e ricca di aneddoti. Pare che il facoltoso mercante genovese commissionò al Caravaggio un dipinto raffigurante la Madonna con San Giovanni Battista insieme ad altri Santi. Ma sei mesi più tardi, il quadro firmato e consegnato da Caravaggio, risultò con un soggetto diverso. Difatti su uno sfondo che andava a rappresentare una chiesa, erano raffigurati Lazzaro, appena riportato alla vita, il Cristo, il quale aveva appena eseguito il miracolo e diversi spettatori che avevano assistito all’episodio miracoloso. Secondo alcuni biografi del tempo pare che tale dipinto avesse avuto una versione precedente, ma che fu completamente distrutta dal Caravaggio in un momento d’ira, offeso dalle critiche che aveva ricevuto sul quadro stesso. Altro aneddoto che meglio fa comprendere il difficile carattere dell’artista, è l’aver preteso ed ottenuto (peraltro con la forza) un cadavere, in uno stato già abbastanza avanzato di decomposizione, da cui prendere spunto per poter ritrarre al meglio Lazzaro. Tale cadavere, si racconta, fu tenuto in posa da alcuni facchini, minacciati da pugnali.

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La Resurrezione di Lazzaro fu pagata dal de’ Lazzari ben 1000 scudi, una grossa cifra per l’epoca. Difatti tale somma è considerata dagli storici dell’arte come poco attendibile, soprattutto considerando la quotazione, ben inferiore, dei maggiori pittori del tempo. E’ anche vero che il Caravaggio aveva un urgente bisogno di soldi, ed è probabile che questa possa essere definita la “causa” del pagamento di una cifra tanto alta. Inoltre recenti ricerche hanno dimostrato come tale opera fosse stata eseguita con una fretta non usuale per l’artista. Difatti è proprio questa fretta che giustifica la scelta del Caravaggio di riempire la tela con un unico fondo scuro, le poche figure rappresentate, i veloci fasci di luce ed l’uso di materiali poveri e tipici della zona.

 

ANALISI DELL’OPERA

Caravaggio ha immaginato la scena nella catacomba dove era stato seppellito Lazzaro con i personaggi allineati come nel bassorilievo di un sarcofago, ulteriore possibile allusione alla morte e alla sepoltura. Alcuni, affascinati dal miracolo, come il necroforo destinato a sorreggere Lazzaro, simile nella funzione di asse centrale della tela a quello dipinto dal giovane Vasari nel suo Cristo portato al sepolcro, con il braccio destro nella medesima posizione assunta da quello del David del Buonarroti.

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Affascinato dal miracolo, il volto intravisto dietro il braccio di Cristo, a ripetere nell’espressione della bocca la traccia di quell’urlo già ricorso con valenze diverse e, per ultimo, nel personaggio barbuto del Seppellimento di santa Lucia dove potrebbe nascondersi un autoritratto.

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I personaggi come attratti dalla luce: l’altro necroforo che solleva la lastra tombale, o l’astante nel quale si sarebbe autoritratto. Luce come materia salvificante che squarcia l’oscurità dell’antro e Cristo che, apparendo come tramite, sarebbe rimasto in penombra.

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Marta, che gli era corsa incontro, aveva esclamato: – Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto, ma anche ora io so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te la concederà. 

Per tutta l’altezza della pala, sulla sinistra come una torre, Caravaggio ha rappresentato un poderoso pilastro ed anche il gruppo degli uomini con Cristo, undici in tutto numero che per sant’Agostino, autore caro ai Francescani, allude al peccato, alla trasgressione, ma anche all’inizio del ritrovamento. Il corpo di Lazzaro, semicoperto da un lenzuolo, teso in forma di croce, come il segno salvifico di panno ruvido color tané sulla spalla destra e sul petto del Padri Crociferi, in diagonale perché in bilico tra la vita e la morte, tragica metafora del dramma di Caravaggio, condannato che attende la remissione della pena capitale.

Sul lato destro il gruppo delle donne, Marta e Maria Maddalena, protese sul volto del fratello, due in tutto, numero che costituisce il principio femminile per eccellenza, allusivo della evoluzione creatrice e dell’opposizione creatore-creatura.

Nei volti di Lazzaro e Marta, Caravaggio ripropone il bacio della madre al bambino risuscitato di Sessa Aurunca, affrescato da Giotto ad Assisi nella basilica inferiore di san Francesco, con i caratteristici profili aderenti in senso inverso, ma sposta il punto focale nella mano destra dell’uomo. Esatto incontro delle diagonali della tela, estremità del braccio viva, vibrante di luce, sollevata per rispondere al gesto di Cristo dalla mano con l’indice leggermente piegato verso la sinistra di Marta. La quale, colpita dalla medesima luce, è pronta ad articolarsi come quella del fratello, quasi a volersi caricare della stessa energia vitale per costituire il secondo polo di questo circuito rivitalizzante.

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Marta che aveva avuto fede, vedendo Lazzaro tornare in vita, con questo ingenuo, istintivo gesto di intima partecipazione vuole agevolare, duplicandola, la trasmissione dell’energia necessaria a ricondurlo in vita. Nota vibrante di amore fraterno, chiara allusione al profondo dolore di Giovanni Battista Lazzari, committente della tela, per la perdita del fratello Tommaso al quale, come Marta per il suo, avrebbe fatto dono anche del proprio respiro.

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Rappresentando così l’attimo centrale, il perfetto bilico tra la morte e la vita del fratello di Marta con la sinistra a giacere ancora presso il teschio e le ossa ai bordi del sepolcro, pronta a seguire istantaneamente la destra viva ed eretta, Caravaggio rievoca l’istante in cui l’Inferno, dopo avere divorato un uomo di nome Lazzaro, si doleva di esserselo sentito lacerare atrocemente dalle viscere con la forza della sola parola, per poi vederlo volar via, come un’aquila, rapidamente riafferrato dalla vita.

LETTURA TEOLOGICA

Il volto tenerissimo di Marta, dipinto dal genio di Caravaggio, che sfiora quello del fratello Lazzaro richiamato alla vita per opera di Gesù, può essere la descrizione della bellezza del Cristianesimo. C’è nella vita l’esperienza tragica della malattia e ancor più la ferita dell’imperfezione: ciò è reso evidente dalla morte, cui ogni uomo non può sottrarsi, e dalla violenza che spesso caratterizza la vita del singolo come quella dei popoli. Ma al tempo stesso e incredibilmente, permane irriducibile nel cuore il desiderio della felicità e della bellezza.

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Come si può stare di fronte a questa drammatica sfida? Con il cinismo di chi non spera più e vive l’esistenza nella pretesa che tutto gli sia dovuto e dato, trascorrendo le giornate nel lamento per quanto non riesce a possedere, per ciò che gli manca? Oppure con la certezza del bene che ha sfiorato la nostra vita, che l’ha redenta per sempre, con la venuta di Gesù che si accostato a noi, che ha abbracciato tutto di noi, offrendo per questo la sua vita?

La nostra esistenza è posta di fronte a questa alternativa. Tutto il tempo della quaresima ci pone di fronte a questa scelta drammatica e affascinante di uomini e donne che desiderano rischiare la propria libertà. La luce che sfiora il volto di Marta e di Lazzaro ci dice che Cristo stesso ha avuto a cuore la nostra vita, che per essa ha dato la sua: quella luce è lo sguardo pieno di misericordia di Dio su noi e sull’umanità tutta.

E’ la vittoria dell’amore e noi vorremmo essere in questa quaresima di fronte ai nostri amici, alla varia umanità che ci circonda, come chi sfiora pieno di tenerezza la vita dell’altro ricordandogli che è accaduto un fatto nella storia che è la speranza per tutti. Una speranza certa perchè quel fatto è adesso presente alla vita e si comunica passando dalla nostra umanità, resa lieta dall’amicizia di Cristo.

Che responsabilità abbiamo nel portare la luce e l’amicizia di Cristo a tutti!

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