L’ARTISTA
Doménikos Theotokòpoulos, detto EL GRECO
El Greco (Dominikos Theotokopulos di origine cretese) pittore attivo in Spagna nel Cinquecento, sa esprimere con grande maestria, attraverso opere ricche di un luminoso cromatismo, gli stati d’animo più profondi. Le tematiche religiose, principalmente incentrate nelle scene della passione di Cristo, sono raffigurate nelle sue maestose e luminose pale d’altare. Le sue opere a sfondo religioso raffigurano frequentemente santi come Gerolamo, Francesco, Giovanni Evangelista e Domenico di Cuzman.
El Greco nasce a Candia nel 1541 e muore a Toledo nel 1614. Di prima formazione bizantina, intorno al 1560, si reca a Venezia, dove trova lavoro come assistente nella bottega di Tiziano Vecellio; nelle sue opere di questo periodo si denotano gli influssi della pittura di Tiziano e il primo affrancamento dalla figurazione realistico-naturalista di matrice bizantina. Subisce anche le influenze del Bassano e, in modo ancora più marcato, quelle del Tintoretto. Ammiratore delle opere del Parmigianino, nel 1570 soggiorna a Parma per approfondirne le conoscenze. Dopo questa esperienza si reca a Roma invitato da Alessandro Farnese che gli fa conoscere Giulio Clovio, un celebre miniaturista. Nel 1572 diventa membro di una associazione di artisti denominata Accademia di S. Luca. Nel 1576 si stabilisce in modo definitivo in Spagna. Qui acquisisce l’appellativo di “El Greco” che si porterà dietro per tutta la sua esistenza e, incomincia a lavorare alla corte di Filippo II, con l’intento di dare lustro al ruolo del sovrano come sostenitore della cristianità. Non riuscendo a soddisfare il Monarca si trasferisce a Toledo, capitale della cultura spagnola. Il suo stile pittorico diventa espressionistico: disarmonia coloristica, immagini trasfigurate con corpi allungati, luci violacee ed abbaglianti e spazi distorti senza nessuna regola prospettica, accompagnano la sua pittura in una dimensione visionaria tipica della mistica Spagna del periodo. Nel 1578, la sua compagna Jeronima de las Cuevas, che non sposerà mai, partorirà un figlio maschio al quale darà il nome di Jorge Manuel. El Greco morirà a Toledo nel 1614 e sarà seppellito prima nella chiesa di Santo Domingo, quindi trasferito nel monastero di San Torcuato. Purtroppo della sua salma nulla rimarrà perché nell’Ottocento una demolizione gli devasterà la tomba.
L’OPERA
GESÙ RIDONA LA VISTA AL CIECO NATO
1570-76
Parma, Galleria Nazionale
Nel piccolo dipinto lo spazio è ampliato a dismisura grazie ad un pavimento quadrettato, che conduce lo sguardo lontano nella fuga prospettica del porticato di un tempio e nello scorcio di due edifici rinascimentali, che proseguono nei ruderi con arcate a cannocchiale. Il cielo nuvoloso grava a pochi palmi dalle figure sulla piazza, che rese a tocchi rapidi di pennello, animano la scena in primo piano dove Gesù apre gli occhi al cieco.
Il soggetto del dipinto è perfettamente consono ad una committenza cardinalizia: la parabola di in un’epoca di profonda crisi religiosa e di vera e propria spaccatura dell’Europa cristiana, ormai divisa tra cattolici e protestanti, una chiara allegoria del ruolo della Chiesa di Roma che, come Cristo, sola può aprire gli occhi alla vera fede.
L’opera è documentata fin dal Seicento nelle collezioni del Palazzo Farnese di Roma ed è assai probabile che sia stata commissionata direttamente all’artista cretese dal cardinale Alessandro: il pittore era infatti giunto a Roma da Venezia nel 1570 ed era stato raccomandato all’alto prelato dal miniatore Giulio Clovio, a quel tempo al servizio dei Farnese, ed aveva subito trovato un grande estimatore nel colto bibliotecario del cardinale, l’eruditissimo Fulvio Orsini.
TECNICA
La fuga prospettica sul fondo rivela la conoscenza delle scenografie teatrali riprodotte anche sulle tavole del Trattato di architettura del veneto Sebastiano Serlio. Il colore denso e squillante e in generale tutto l’impianto compositivo del dipinto sono ancora fortemente influenzati dagli esempi veneziani del Tintoretto, che El Greco aveva potuto studiare nel corso d’un soggiorno in Laguna. La tavolozza del pittore con la sua strana tonalità surreale, sembra anticipare l’esasperazione cromatica delle opere spagnole.
CURIOSITA’
Nel gruppo assiepato a sinistra si riconoscono alcuni ritratti: forse il giovane principe Alessandro Farnese all’estremità e in mezzo allo schieramento il cardinal Ranuccio Farnese. I personaggi che sono stati identificati da alcuni studiosi come effigi di membri della famiglia Farnese, non si ritrovano sulle altre due versioni di questo stesso soggetto che El Greco dipinse (una a Dresda, risalente al primo soggiorno veneziano, e l’altra a New York, considerata appartenere all’epoca dell’arrivo in Spagna).
Parrocchia di San Pio X in Cinisello Balsamo – MI
Omelia di don Danilo Dorini del 21 marzo 2004
Quarta domenica di Quaresima
Per il commento al Vangelo di oggi prendiamo avvio dal dipinto che abbiamo posto sull’altare che ha per titolo “La guarigione del cieco”. E’ un’opera di El Greco, un pittore greco-cipriota, naturalizzato spagnolo e vissuto a cavallo del 1500-1600. Ha lavorato molto anche in Italia (questo dipinto si trova alla galleria nazionale di Parma) ma ha raggiunto la sua maturità artistica in Spagna. A Toledo e a Madrid sono conservati i suoi dipinti migliori.
Questo quadro risale al 1575 circa, siamo subito dopo il Concilio di Trento, ossia in piena riforma protestante, controriforma e riforma della Chiesa cattolica. Il suo contenuto è profondamente anti-luterano: vi si allude alla Chiesa cattolica che apre gli occhi alla vera fede mentre un uomo a torso nudo, di spalle, indica la direzione diametralmente opposta e qualcuno lo segue con lo sguardo.
Lo scrittore statunitense H. Miller morto nell’80, ritenuto “scandaloso” soprattutto per il suo linguaggio, propone questa battuta: “La nostra meta non è mai un luogo ma un nuovo modo di vedere le cose”.
La fede cristiana è anche un nuovo modo di vedere le cose, di considerare la realtà, di dare un giudizio sui fatti, e di guardare a Cristo. Guardare e vedere non sono sinonimi: hanno un contenuto differente. Dice il vocabolario della lingua italiana Devoto Oli: guardare vuol dire soffermare lo sguardo su qualcosa o qualcuno; vedere significa percepire con gli occhi, richiede cioè un’operazione anche mentale.
Seguitemi ora in una riflessione che sembra a prima vista essere fuori luogo ma non lo è: cerco di essere il più semplice possibile. Il filosofo tedesco Immanuel Kant, nel 1700, ha proposto la distinzione tra fenomeno (la cosa, la realtà, come appare) e noumeno (la cosa, la realtà, in sé, come davvero è); diceva: nel nostro modo di percepire non siamo in grado di raggiungere la realtà ultima in sé stessa, ma sempre solo di coglierla nel suo apparire attraverso varie lenti. Quello che noi percepiamo non è la realtà vera e propria, come è in sé stessa, ma solo il suo riflesso nel nostro sistema di conoscenza.
Qualcuno ha applicato questa distinzione a Gesù e ha fatto questo ragionamento: non possiamo identificare la figura storica di Gesù il Nazzareno con il Dio vivente, con il Verbo di cui parla Giovanni già all’inizio del suo Vangelo perché noi vediamo solo il fenomeno Gesù e non il suo essere ultimo, intimo; dunque Gesù è uno dei tanti geni religiosi apparsi sulla scena della storia e non può avere un carattere assoluto; farlo significherebbe travisare la realtà perché pretenderemmo di conoscere ciò che non è possibile conoscere, ossia l’Assoluto, il noumeno.
Questa posizione è oggi è molto diffusa e rilevante; essa considera fondamentalismo ritenere che ci sia una verità valida e vincolante perché sarebbe un attentato alla libertà e alla tolleranza. Dunque, concretamente: non più conversione o missione ma semplice dialogo ossia parità di posizioni e convinzioni; non più sostegno ai missionari ma raccolta di fondi per Emergency o Ecomondo, pur rispettabili, perché ciò che conta è raggiungere il massimo della cooperazione e integrazione fra le varie forme religiose o associazioni di tipo umanitario.
Questo modo di ragionare tipicamente occidentale ha trovato sostegno nella mentalità negativa dell’Asia per la quale il divino non può mai entrare nel nostro mondo d’apparenza; si mostra solo relativamente, resta al di là di ogni pensiero e parola, nella sua trascendenza assoluta. E nella negazione del mistero cristiano dell’Incarnazione. Il Gesù storico non è il Logos, il Signore, come non lo può essere nessun altro. Quindi ciò che conta è l’incontro delle culture con la vera filosofia dell’umanità fondata sul livellamento di tutte le convinzioni, della tolleranza e dell’abolizione di ogni verità. Tranne questa.
Questo conferisce alle religioni asiatiche una forza di penetrazione e diffusione nel mondo occidentale senza precedenti. La New Age, di cui abbiamo parlato in varie occasioni, si inserisce in questo contesto. Essa propone di abbandonare il Cristianesimo, che è fallito ed anzi, con la sua affermazione del Dio assoluto, mina la tolleranza e la democrazia nel mondo, e di tornare agli dei, perché più rispettosi di ogni convinzione umana.
Oggi chi vuol rimanere nella fede del Battesimo e della Chiesa si trova relegato in una terra di nessuno, al lavoro, al bar, in mille discussioni, e deve saper guardare nella direzione giusta per poter vedere la vera sapienza. Nel dipinto, sulla sinistra, c’è un personaggio, quasi totalmente, nudo, barbuto, che fissa con aria di sfida e scettica il personaggio a torso nudo che gli sta di fronte.
Torniamo a Miller ed al suo: “nuovo modo di vedere le cose”. Nel Vangelo il verbo greco “guardare”, a proposito di Gesù, è impiegato in tre espressive varianti.
1 guardare attorno: quando Gesù gira attorno i suoi occhi tutti ammutoliscono intimoriti e/o affascinati.
2 guardare dentro: gli occhi di Gesù impressionavano quando “guardava dentro” alle persone quasi a voler arrivare al loro cuore. Pietro ha avuto l’esistenza segnata per sempre da due sguardi trasformanti: quando Gesù gli ha cambiato il nome, al loro primo incontro, e nel momento del tradimento quando incrociando lo sguardo di Gesù capì l’errore compiuto e pianse.
3 guardare in alto: per rivolgere la preghiera al Padre suo.
Anche il cieco guarito del brano evangelico di oggi compie il cammino di Gesù.
Si guarda attorno: e si ritrova solo, abbandonato dai genitori, circondato da diffidenza e curiosità, accusato e allontanato dalle autorità; è guarito ma non vede nessuno attorno a sé.
Si guarda dentro: e scopre che la sua solitudine è l’unico male che non si può vincere da soli, ci vuole un altro. Notate qui i progressi: per lui Gesù è dapprima un uomo, poi un profeta, poi un timorato di Dio e infine il Signore.
Infine guarda in alto: “Io credo, Signore” e gli si prostrò innanzi. Ha compreso che per Gesù voleva la pena rischiare tutto, ha visto in Gesù il suo Signore.
Concludo ponendomi una domanda: come mai, nonostante la situazione che ho cercato di descrivervi, la fede cristiana ha ancora oggi una possibilità di successo? Perché risponde alla natura della persona umana. In ogni persona vi è un’inestinguibile aspirazione nostalgica verso l’infinito. Solo Dio, che per venire al nostro limite si è reso finito, è in grado di soddisfare la nostra nostalgia d’infinito.
Diceva la volpe al Piccolo Principe: “L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Torniamo alla differenza tra guardare e vedere. Si racconta che l’attrice Rita Hayworth facesse visita a un lebbrosario mentre una suorina stava cambiando le bende a un malato. L’attrice si rivolse con disgusto ai suoi accompagnatori e disse: “Non farei l’infermiera qui dentro nemmeno se mi dessero un miliardo!”. La suorina, che aveva sentito, replicò: “Neppure io”.
Che dire, una guardava, l’altra vedeva in quell’uomo malato il volto di Dio.
Dio ci dia la grazia di saper guardare sempre oltre il fenomeno per vedere la presenza di Dio nell’uomo accanto a noi.
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