Dalla letteratura alla pittura, alla musica e al canto, l’Annunciazione ha ispirato artisti di fede e persino non credenti.
Vi proponiamo tre contributi molto profondi e, proprio per questo, non convenzionali della lettura in chiave artistica dell’Annunciazione.
Maestrale di marzo
(Erri De Luca)
Non è strano in natura inseminarsi al vento come i fiori
Fiore è il nome del sesso delle vergini,
chi lo coglie, deflora.
Miriàm/Maria fu incinta di un angelo in avvento
a porte spalancate, a mezzogiorno.
Il vento si avvitò al suo fianco
sciogliendo la cintura lasciò seme nel grembo.
Fu salita senza scostare l’orlo del vestito.
Al primo raccolto del grano contava tre mesi
dal maestrale di marzo che le baciò il respiro
facendola matrice di un figlio di dicembre,
che è luna di kislev per lei Miriàm/Maria
ebrea di Galilea.
Con questa poesia inizia “In nome della madre”, di Erri De Luca, scrittore napoletano. Pur professando agnosticismo è un uomo di grande sensibilità direi quasi religiosa. Ha dedicato anni allo studio della Bibbia, imparando l’ebraico e traducendo libri dell’Antico Testamento.
Qualcuno potrebbe ritenere che quei versi sono blasfemi. Molto probabilmente per la presenza di termini come “sesso delle vergini”, “deflora”. In realtà, leggendo senza pregiudizio si vede che è una trasposizione dell’Annunciazione e del concepimento miracoloso di Gesù. Tramite la metafora del fiore e del vento che porta il polline, cioè il seme, si passa allo Spirito Santo, che in ebraico è “ruah hakodesh”, dove “ruah” indica anche “vento” (oltre al “soffio”, come quello vitale concesso da Dio al primo uomo).
Dunque De Luca ha detto esattamente quello che riportano Matteo e Luca: che Maria concepì dallo Spirito Santo.
Nel libro Maria, dopo aver intuito quanto le è accaduto, parla con il suo futuro sposo Giuseppe.
Lei è un personaggio dolcemente forte, consapevole del disegno di Dio e delle dure leggi degli uomini. E’ pronta a qualunque cosa, ma ama il suo uomo e vorrebbe averlo accanto nel difficile cammino che sta per intraprendere.
E lui è all’altezza della situazione: sfida le convenzioni degli uomini soprattutto per amore di lei.
Nonostante la scarsità di particolari, la lettura dei passi evangelici relativi a questa vicenda evidenzia l’eccezionalità dell’evento, l’accettazione consapevole da parte di Maria di una gravidanza (e di un destino) che si prospetta problematica socialmente, la comprensione, da uomo innamorato, piuttosto che pio, da parte di Giuseppe, che sfida le usanze del suo popolo e rinuncia al diritto di ripudiare la promessa sposa.
Biancarosa Chiarandini interpreta Maestrale di Marzo ed altri passi da “In nome della madre”
Ave Maria
Fabrizio de Andrè
E te ne vai, Maria, fra l’altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.
Sai che fra un’ora forse piangerai
poi la tua mano nasconderà un sorriso
gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso.
Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.
Femmine un giorno e poi madri per sempre
nella stagione che stagioni non sente.
In questa dolcissima canzone, che è un vero e proprio inno alla maternità, “Maria diventa l’emblema di tutte le donne (di tutte le madri), che De André comprende e insieme compiange” perché – nota De André – la maternità continua dopo il parto e dura in fondo, seppur sotto forme diverse, per tutta la vita (femmine un giorno e poi madri per sempre).
Vi è qui una visione tutta umana e terrena della Vergine; ma tale riduzione può essere anche letta al contrario: l’assimilazione di Maria agli umani equivale al loro innalzamento verso un senso e un valore che trascendono la pura dimensione terrena.
Video con il brano “Ave Maria” tratto dall’Album di Fabrizio De Andrè “La Buona Novella”, 1970 e con immagini tratte dal film “The Nativity Story” diretto da Catherine Hardwicke.
Antonello Da Messina: L’Annunciata
Molti artisti, in pittura, scultura, letteratura, si sono cimentati nella sfida di rappresentare l’episodio dell’Annunciazione. La pittura di tutti i secoli ha riempito il nostro immaginario di Marie meditabonde, lagrimose, contemplative, estatiche al cospetto del messaggero divino.
L’angelo è sempre presente e quasi sempre corredato da ali più o meno colorate, trasparenti, ingombranti; le ali associate agli angeli costituiscono una raffigurazione molto antica, efficace a far intuire la celerità e la prontezza degli angeli nell’eseguire il volere divino.
L’angelo è dipinto molto spesso a sinistra e la Madonna a destra dell’osservatore, mantenendo nella rappresentazione un unico momento che fa coincidere l’annunciazione con il concepimento..
La raffigurazione della colomba-Spirito Santo, che discende direttamente da Dio e giunge a Maria, si ripete come un ritornello attraverso le raffigurazioni artistiche.
In alcuni casi i raggi divini su cui scorre la colomba, come su binari, giungono direttamente al ventre di Maria, in altri sono diretti all’orecchio della Vergine, ad indicare il concepimento virginale di Maria attraverso la parola del Signore.
In queste rappresentazioni la presenza divina sovrasta la dimensione umana e si impone. La fede come accettazione senza discussioni della verità e del disegno di Dio che viene imposto e necessariamente accettato.
Maria non ha nessun potere se non quello di reggere il peso dell’assurdità. Non riflette né rimugina né obietta ma interiorizza l’incomprensibile; l’annuncio del partorire da vergine e che l’uomo deve ridursi alla fede.
Maria con l’aureola è già divina e non più umana. È già senza interesse alcuno per la discussione.
Vi presentiamo ora un’opera d’arte che capovolge completamente questa lettura dell’Annunciazione e che ci aiuta a coglierne il significato più profondo: l’Annunziata di Antonello da Messina.
L’annunciazione di Antonello non è un’annunciazione perché non c’è nessuno che annuncia. Non c’è l’Angelo, c’è Maria e basta. C’è l’uomo e basta. Senza aureole – senza placche d’oro – senza luci metafisiche. Il manto è azzurro ad indicare la piena umanità di Maria, la mano sinistra con pudicizia richiude i lembi del manto lasciando intravedere solo un frammento della veste rossa; il rosso è il simbolo della divinità regalità.
Mancano l’oro, il paesaggio, le architetture , c’è solo la Donna e c’è la luce che si riflette sul suo volto proveniente dall’alto e specchiata dalle pagine del libro. La presenza della luce porta inevitabilmente alla presenza delle ombre, segno della difficoltà di penetrare il mistero. L’Annunciata esce dal buio dello sfondo per avanzare verso a luce del libro. Il libro della Maria di Antonello è il libro aperto, di uno che studia, che elabora ed interiorizza il Verbo. L’accaduto viene raccontato servendosi delle espressioni del volto e delle mani.
Tutte le critiche convengono nel dire che lo spettatore ha preso il suo posto. Noi che guardiamo non siamo al posto dell’angelo, non siamo spettatori silenziosi, siamo i destinatari. Ogni spettatore si accorge di trovarsi in una posizione a dir poco privilegiata.. E’ clamoroso il cambio del punto di vista rispetto a qualsiasi altra classica raffigurazione dell’evento biblico, che taglia fuori l’angelo e mette noi, osservatori, da soli di fronte a Maria nel momento in cui ha appena preso coscienza di essere, o di dover diventare, la madre del Cristo.
Qui il divino non si impone più sull’uomo ma lo interpella; l’uomo è chiamato a cogliere il senso della domanda posta ed a rispondere.
Lo si può notare nella gestualità e nelle espressioni della Madonna.
La realtà di essere madre, di avere un figlio, il Figlio di Dio, davanti alla sua fragilità, non può non averla scossa, turbata, devastata, ma solo da questa scossa profonda, da questo salto nel buio può avere inizio il cammino dello spirito.
La dignità della natura umana non sta subendo alcuna costrizione ma sta decidendo il futuro. Maria interprete della massima libertà, questo ci consegna il capolavoro dell’Annunciata.
Dio chiama, la nostra libertà risponde.
Vi è una profonda umanità in tutto ciò che ci permette di identificare il nostro cammino, i nostri dubbi, le nostre ansie, le nostre difficoltà con quelle di Maria. Il sentimento di Maria in questo istante dell’annunciazione è ripetuto continuamente nella vita di ciascuno di noi. E’ Lei che per prima lo ha sperimentato che ci accompagna nella comprensione del mistero che compare nella vita di ognuno di noi e ci interroga.
Il Mistero, contrariamente all’Enigma che è qualcosa di incomprensibile e non ha soluzione, rimanda ad una realtà la cui comprensione piena oggi ancora mi sfugge; ne comprendo alcuni tratti ma molti altri mi sfuggono. In tal senso la persona umana è e sarà sempre un mistero. Ma un mistero incarnato, concreto, trasparente, che si rende visibile pur superando la nostra capacità di comprensione.
Continuamente la realtà si mostra nella sua imprevedibilità e allo stesso nella sua misteriosa ci attrae. C’è un senso di fondo, che però non vedi. Lo puoi solo intuire in quello sguardo, lo sguardo di Maria in cui specchiarsi e riflettersi.