La proposta per la giornata mondiale del migrante 2018 in Parrocchia è stata quella di fare un primo piccolo passo per iniziare un percorso che ci consenta di leggere e comprendere la migrazione, un evento vasto, complesso e drammatico .
Evento che, e forse di questo siamo tutti consapevoli, segna una svolta nella storia dell’umanità e che chiede una presa d’atto, di maturare coscienza.
Come cristiani siamo chiamati ad una riflessione ed ad una presa di posizione che sposta l’attenzione verso noi stessi, nei confronti della nostra identità di fede. Una identità che ci chiede di recuperare un diverso sguardo, uno sguardo che deve andare oltre il fastidio di un grave problema, ma che deve saper cogliere la presenza del fratello.
Proseguendo il percorso iniziato lo scorso anno, dopo esser ripartiti dal centro del dono più grande che il Signore ci offre “la mensa eucaristica” abbiamo poi dato voce a questi ragazzi, perché una volta tanto possa essere dato conto di questo vissuto senza i soliti filtri che sovente lo sviliscono e lo banalizzano. Un raccontare la propria vicenda umana che è costata loro un’immensa fatica e che ha indubbiamente riaperto profonde ferite.
Erano presenti Yannik, proveniente dalla Costa d’Avorio, Yayà dal Senegal, Christopher e Godfrey dalla Nigeria, tutti giovaissimi. Anche se con molta fatica, dovuta anche ad alcuni limiti nella padronanza linguistica tutti hanno comunque dispiegato un filo conduttore di realtà ormai giunte oltre il limite della sopportazione, fatta di violenza, miseria, guerra che producono fughe, lutti e separazioni. Storie che chiedono, quanto meno, attenzione ed umana condivisione
La domanda fondamentale: possiamo ridurre tutte queste vicende alle condizioni di arretratezza di un terzo mondo che gradualmente segna una linea di demarcazione sempre più profonda con le società del benessere? E come mai questa linea diventa sempre più profonda? Sono sufficienti le analisi che ci chiamano fuori da tutto ciò? Oppure noi ci siamo dentro, anzi ne siamo protagonisti?
Don Paolo Arienti, nella presentazione della pubblicazione “Viaggi” che racconta alcune vicende di migranti, commenta: “Sono loro lo specchio più autentico ed impietoso dell’umanità. Si specchio dall’immagine deformata, forse perché l’originale – il lato ritenuto buono e sicuro del mondo – è stato deformato da quella siccità culturale che prosciuga la vita fraterna. Contro ogni fede e ogni filantropia, contro ogni umanesimo e ogni giustizia.”
La Nave del Buon Natale
Tutti i ragazzi hanno narrato vicende burrascose e drammatiche che sono rimaste in parte inespresse proprio per le difficoltà nel poter esprimere compiutamente vissuti complessi e dolorosi.
Ma è stata la testimonianza di Yannik, grazie alla suo buon italiano, ad esprimere chiaramente tutte le sofferenze e le vicissitudini di questo popolo che fugge ed a farci capire da chi e da cosa fugge e di chi e di cosa è alla ricerca.
La vicenda di Yannik è appunto raccontata nella pubblicazione “Viaggi”. Yannik ancora bambino ha dovuto abbandonare il suo villaggio natale. Per il semplice fatto di essere nato podalico era considerato uno “stregone” quindi portatore di sventura, una creatura da sopprimere. Le vicende della famiglia sembravano voler accreditare questa immagine a tutto il villaggio, prima la morte del padre, poi quella del secondo marito della madre. Infine la malattia della stessa madre.
Yannik, fuggito dal villaggio, era finito nelle mani di un guaritore che speculava sulla malattia della madre, esigendo compensi esosi per una cura legata ai riti propiziatori e che ha avuto come esito finale la morte della madre.
Non avendo più alcun riferimento Yannik si è recato ad Abidjan, dove c’era una abitazione di proprietà del padre. Ma la casa era occupata da altre persone e quindi è finito in strada. E’ qui che ha conosciuto la realtà dei “les microbes” i microbi, ragazzi che sono costretti al furto ed alla violenza da persone senza scrupoli per sopravvivere. L’incontro con questa realtà ed il rifiuto di assecondare queste logiche sono costati a Yannik punizioni quali tagli sulle mani di cui reca ancora le cicatrici.
Diverse traversie hanno condotto Yannik verso la Libia in un viaggio durissimo di tremila chilometri segnato dalla mancanza di acqua e dal freddo della notte con l’impossibilità di accendere fuochi per non essere scoperti dalla polizia. Un viaggio costato la vita a molte persone.
Una volta arrivati alla frontiera bisogna versare una somma di denaro. “Se non hai soldi accetti di essere picchiato. Io non ne avevo e quindi sono stato bastonato” dice Yannik. Il viaggio è proseguito, dopo alcuni lavori malpagati, fino alla riva del Mediterraneo dove è finito internato in una zona sottoposta a vigilanza di persone aggressive che spesso maltrattavano i reclusi. Scarseggiava il cibo, alcuni sono morti di stenti.
Verso la mezzanotte del 24 dicembre 2015 Yannik è stato imbarcato. Sulla barca erano in 143, si stava molto stretti e pertanto era seduto sulle ginocchia di un amico. La ressa è la ragione per cui molte imbarcazioni si capovolgono, per questo c’era tanta paura.
Il giorno di Natale la barca è stata intercettata dalla Marina Militare Italiana. Gli uomini della marina hanno offerto ai migranti delle coperte e dei viveri e li hanno salutati con l’augurio di Buon Natale.
Yannik porta nel cuore questo augurio che i soccorritori hanno continuato a ripetere in quella giornata. Lo considera il benvenuto e la sua rinascita in Italia.
Poi il trasferimento a Cremona, un periodo difficile in una struttura stipata di migranti, ben oltre il consentito e con le problematiche dell’iter per il riconoscimento dello status di rifugiato. Ora, dopo un periodo nella Casa dell’Accoglienze della Caritas Diocesana, Yannik vive in locali messi a diposizione dalla Parrocchia di Cristo Re a Cremona e, dopo aver conseguito la licenza media, sta frequentando un corso infermieristico.
Yannik sorride, ringrazia tutte le persone che ha incontrato e che gli hanno restituito la speranza, ma non dimentica la sofferenza e per questo è per lui importante raccontarla perché si sappia, si comprenda, si accolga.
Ha una straordinaria voglia di fare, di costruire un futuro, di dare un contributo al Paese co lo ha accolto.
“La storia di Yannik fa scaturire tanti pensieri: “Ci chiediamo cosa ci facciamo qui, dalla parte “giusta” del mondo, chi ci ha mandati qui e soprattutto come, se in veste di uomini o di esseri privilegiati. Non è facile rispondere ai nostri dubbi.”
Che bello,ero molto contento quando mi avete invitato a questa cellebrazione,vi rigrazo di cuore? per la cura e l’ospitalità..Grazie speciale a Vicenzo e Anna,Alberto e Francesca,Italo e Fabia e non dimenticavo Don Giuseppe…..?
E’ stata per noi una grande gioia, un grande dono, la vostra presenza e soprattutto la vostra testimonianza. E’ stato un momento di crescita per la nostra Comunità. Una crescita che va costantemente alimentata. Voi, la nostra storia ora ci appartengono.