Il 17 ottobre di 170 anni fa moriva il pianista e compositore polacco Fryderyk Chopin (1810-1849), autore di una musica dalle note ‘sovrumane’. Negli anni parigini perse la fede e la sua vita, tra cattive compagnie, si fece tormentata. Molti dei suoi nuovi amici sono «uomini e donne senza principi, o piuttosto con principi cattivi». Nemmeno alcune donne sono la sua consolazione: specialmente la scrittrice romantica George Sand, «una divoratrice di uomini», che lo conosce nel 1836 e, dopo contrasti di idee e di carattere, lo abbandona nel 1847.
La già delicata salute, specialmente le sempre più gravi e frequenti infezioni polmonari, lo indeboliscono molto negli ultimi anni di vita. Uno tra i rappresentanti più illustri dell’emigrazione polacca, il reverendo Alexander Jelowicki, tra i più cari amici di Chopin, si avvicina al capezzale del musicista moribondo. Il sacerdote stesso riferirà nei particolari il ritorno di Chopin alla fede antica.
Padre Alexander Jelowicki approfitta dell’umore addolcito del compositore per parlargli dell’amatissima mamma Justyna, buona cristiana. «Sì», gli risponde Chopin, «per non offendere mia madre sarei disposto a ricevere i Sacramenti, prima di morire. Ma non li capisco, come voi desiderereste. Concepisco la confessione come un’effusione del cuore nelle mani di un amico, ma non come un Sacramento. Perciò mi confesserò volentieri a voi, perché vi voglio bene, ma non perché lo trovi necessario». Ma il sacerdote non dispera della grazia, che pare vicina.
La sera del 12 ottobre 1849, il medico del musicista, convinto che Chopin non avrebbe passato la notte, chiama il reverendo Jelowicki, che si affretta ad arrivare. Il moribondo gli stringe la mano, ma lo invita ad andarsene; assicura di volergli bene, ma non gli vuole parlare. Il giorno seguente, in cui nel martirologio tradizionale si festeggia sant’Edoardo il Confessore, padre Alexander celebra la Messa in suffragio del proprio fratello, Edward, fucilato a Vienna durante gli sconvolgimenti del 1848, e prega per l’anima di Chopin. Ritorna presso il capezzale del compositore e gli ricorda che quel giorno è l’onomastico del suo povero fratello, che Chopin amava moltissimo. «Oh, non ne parliamo!», grida il moribondo. «Amico carissimo», continua il sacerdote, «nel giorno onomastico di mio fratello devi farmi un regalo». «Che ti darò?». «La tua anima». «Ah, capisco. Eccola; prendila!».
Il musicista stringe il crocifisso offertogli da padre Jelowicki, professa la fede in Cristo che gli ha insegnato sua madre e riceve i Sacramenti che preparano all’incontro con il Dio vivente. La sua agonia dura quattro giorni, ma lui è rassegnato, paziente e talvolta sorridente. Scrive il sacerdote:
«Benedisse i suoi amici e quando, dopo un’ultima apparente crisi, si vide circondato dalla folla che quel giorno e quella notte riempì la sua camera, mi chiese: «Perché non pregano?». A queste parole tutti caddero in ginocchio e persino i protestanti si unirono alle litanie e alle preghiere per i moribondi».
Alcune delle ultime parole di Chopin sono: «Senza di te, mio caro amico, sarei morto come un maiale». Invoca i nomi di Gesù, Maria e Giuseppe, afferra un crocifisso, lo preme sul cuore e con gratitudine dice: «Ora sono alle fonti della felicità».
Nell’appartamento parigino al numero 12 di Place Vendôme, oggi sede di una gioielleria, alle 2 del mattino di mercoledì 17 ottobre 1849, «il musicista polacco ribelle» rende l’anima a Dio a 39 anni. «Così morì Chopin», conclude padre Jelowicki, «e in verità la sua morte fu il concerto più bello di tutta la sua vita»