Occorre fare un primo piccolo passo per intraprendere un percorso che ci consenta di leggere e comprendere la migrazione, un evento vasto, complesso e drammatico. Evento che, e forse di questo siamo consapevoli, segna una svolta nella storia dell’umanità e che chiede una presa d’atto, di maturare coscienza.
Ogni giorno immagini di dolore, sofferenza e morte scorrono davanti ai nostri occhi mediate attraverso la lente deformante dei media e dei social network.
Stare alla finestra osservando con indifferenza, o peggio, con ostilità questo fenomeno senza chiedere ragione (soprattutto alle nostre coscienze) alimenta la paura. Si ha paura di tutto quanto non si conosce e che quindi non si comprende. Dietro la paura si nascondono i peggiori stati d’animo che trovano posto nell’essere umano quali l’odio ed il disprezzo.
Molti Stati nella storia passata e più recente hanno propagandato l’altro come il nemico da combattere, ponendo così le basi per le più gravi sciagure vissute dall’umanità. Per questo è necessario prima di tutto conoscere. La conoscenza è l’opposto del pregiudizio. Quest’ultimo è fondato su una valutazione che viene prima, quindi priva di qualsiasi elemento o cognizione in merito.
E’ evidente che di fronte ad un fenomeno quale quello migratorio, che va a toccare e ad intrecciarsi con le problematiche che investono l’intero pianeta, occorre procedere per gradi. E’ necessario ricondurre queste vicende al suo fattore umano, deve essere restituita un’identità a questo popolo che si affaccia alle sponde dei nostri mari, devono essere conferiti loro un volto, una dignità ed una propria storia.
Non c’è giorno nel quale non si parli a livello mediatico di immigrazione, e non c’è giorno nel quale non si faccia cenno quasi esclusivamente al pericolo, alla criminalità, all’allarme sociale, al semplice fastidio che a questa tematica si collegano. Tutto ciò non fa che alimentare i pregiudizi che a causa di questa costante pressione tendono a rafforzarsi continuamente. Solo sporadicamente vengono trattati aspetti maggiormente propositivi: di carattere normativo, amministravo, di integrazione e di intervento sociale. Ne deriva una banalizzazione che a volte degenera in atteggiamenti di rifiuto e di ostilità che si spingono ad invocare soluzioni drastiche e violente.
Come cristiani siamo chiamati ad una riflessione ed ad una presa di posizione che sposta l’attenzione verso noi stessi, nei confronti della nostra identità di fede. Una identità che ci chiede di recuperare un diverso sguardo, uno sguardo che deve andare oltre il fastidio di un grave problema, ma che deve saper cogliere la presenza del fratello. Solo se sappiamo guardare alla dimensione umana del fenomeno potremo dare volto ad uomini, donne e bambini che lasciano la loro casa alla ricerca di una vita migliore, fuggendo dalla miseria e dalla povertà e, in tanti casi, da guerre e persecuzioni. Nel loro viaggio diventano vittime di trafficanti senza scrupoli e rischiano la vita, subiscono abusi, ricatti, vessazioni.
In questo momento della storia dell’umanità, fortemente segnato dalle migrazioni, quella dell’identità non è una questione di secondaria importanza. Chi emigra, infatti, è costretto a modificare taluni aspetti che definiscono la propria persona e, anche se non lo vuole, forza al cambiamento anche chi lo accoglie. Come vivere questi cambiamenti, affinché non diventino ostacolo all’autentico sviluppo, ma siano opportunità per una crescita umana, sociale e spirituale, rispettando e promuovendo quei valori che rendono l’uomo sempre più uomo nel giusto rapporto con Dio, con se stesso, con gli altri e con il creato?
E’ questa la sfida che ci attende. Una sfida che ci fa sentire inadeguati, se non addirittura impotenti. Una sfida che ci impone di fare un primo passo che superi la cultura dell’egoismo e dell’individualismo in cui la nostra società è caduta. Una sfida che fa sentire ancora più piccola la nostra comunità, ma una lunga strada è fatta di piccoli passi che si sommano l’uno all’altro. E prima o poi è necessario intraprendere il cammino, pur con le nostre inadeguatezze.
Questa Giornata Mondiale del Migrante può essere l’occasione per avviarci in questa direzione. Quella di conoscere e di incontrare per far maturare entro noi la dimensione e lo spirito dell’accoglienza.
Due proposte che non hanno la presunzione delle grandi analisi; come abbiamo visto troppo spesso si sono abusate parole e riflessioni. Vogliamo partire dalle persone, dalle loro storie, dai drammi narrati dai loro occhi, dai loro sguardi.
La prima ci porta a Lampedusa. Ovviamente non potevamo fare fisicamente questo viaggio, ma c’è chi lo ha fatto per noi e ce lo offre, perché possa servire per comprendere cosa si stia consumando, cosa si stia vivendo e spesso anche morendo in questo lembo di terra circondato dal mare.
Lo facciamo attraverso un film: Fuocoammare.
Il Regista Gianfranco Rosi per girare Fuocoammare si è trasferito a Lampedusa e ci ha vissuto per più di un anno, in modo da provare sulla sua pelle cosa significhi trovarsi nell’epicentro del fenomeno migratorio. Il risultato è un’immersione totale in una delle più grandi tragedie del nuovo millennio, capace di far riflettere sull’attualità con le armi del grande cinema. Quindi un cinema che non sconfina nella fantasia, negli effetti speciali, documenta la realtà con rigore e con crudezza, ma ha anche il pregio di far emergere l’elemento umano con i suoi drammi, conflitti, sentimenti. Fuocoammare racconta i diversi destini di chi sull’isola ci abita da sempre, i lampedusani, e chi ci arriva per andare altrove, i migranti.
Ci sono anche i morti, non potevano non esserci, in sacchi chiusi mostrati nella loro tremenda normalità, e c’è il racconto tragico ed epico che fanno i migranti del loro viaggio. Ci sono i loro volti, occhi che hanno visto più volte la morte in agguato.
Quindi un osservatorio privilegiato dal quale partecipare a drammi autenticamente vissuti e impietosamente mostrati, fuggendo dai pericoli della retorica e della demagogia.
La seconda proposta ci porta dentro la nostra comunità i volti, la presenza dei migranti per costringerci ad accettare questa realtà, scuotendoci dalla sensazione di fare un brutto sogno dal quale destarsi al più presto. Questi migranti sono tra coloro che sono approdati al Centro di Accoglienza della nostra Caritas Diocesana. Questo incontro avrà luogo nel momento più significativo in cui si riunisce la comunità cioè attorno alla mensa eucaristica. Quale posto migliore per accogliere il Cristo che viene in mezzo a noi. Nella prossima celebrazione domenicale assumerà le sembianze di questi nostri fratelli, farà proprie le loro vicissitudini e ce le affiderà perché sappiamo farle nostre e perché possiamo essere Suo strumento per aprire loro le braccia. Un momento che servirà a toglierli definitivamente dall’anonimato, avranno un nome, una storia da consegnarci, una testimonianza da chiederci.
Una testimonianza che la nostra Chiesa Diocesana ha raccolto ed affrontato attraverso la Casa dell’Accoglienza che ospita molti migranti, che possono trovare conforto, vicinanza E che si concretizza attraverso l’impegno ed il sostegno dei molti operatori che offrono la loro disponibilità. Un servizio ed una risposta non facili da organizzare ed attuare. Accanto ai migranti saranno presenti alcuni operatori che offrono il loro tempo e la loro dedizione in tutto questo. Una presenza che nell’illustrare il senso e le modalità di questa esperienza al contempo ci interroga e ci provoca invitandoci a riflettere sui nostri atteggiamenti ed in taluni casi sui nostri complici silenzi.
I migranti ci pongono domande ineludibili. Chi siamo noi? E i migranti chi sono? Dalla risposta alla seconda domanda scaturisce la risposta alla prima. Perché possa nascere una consapevolezza che ci eviti di prendere posizioni quali “Aiutiamoli a casa loro”. O anche: “Non dovrebbe essere lì”. Frasi senza senso, ma che si moltiplicano dando dignità al nonsenso dei populisti. Quale casa? Quale paese? Bombardati? Schiavizzati? In mano a Daesh?
Questo nonsenso sta svuotando la nostra anima di cittadini e soprattutto di cristiani. Questo nonsenso è la negazione dell’umanità, che disconosce le basi di ogni civile convivenza fondata sulla relazione, sulla condivisione e sulla solidarietà.
Dobbiamo maturare consapevolezza che i nostri destini, piaccia o no, sono inesorabilmente intrecciati ai loro. I loro problemi sono anche i nostri, problemi ai quali ciascuno a concorso con le proprie colpe ed i propri errori e che insieme dobbiamo affrontare e risolvere.
Soluzioni di isolamento conducono al nulla, solo scelte capaci di rispondere alla reciprocità dei bisogni potranno aprire uno spiraglio, ad una via d’uscita che alimenti la speranza in un mondo migliore.
Su tutti noi pesano come un macigno le parole del Cristo alla domanda dei dannati: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?” Tutti noi conosciamo perfettamente la risposta:” In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me.” ( Matteo 25, 44-45)
Con l’augurio che questo primo piccolo passo segni l’inizio di un cammino che apra nuovi orizzonti e che ci tolga dall’isolamento e dall’indifferenza in cui sovente ci siamo rinchiusi.