Festa della donna – Una riflessione fuori dal coro

La festa della donna nel contesto attuale

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Tutte le feste hanno un loro profondo significato che purtroppo il nostro mondo cerca sempre di svilire e di vanificare banalizzandolo con i soliti luoghi comuni e soffocandolo nel consumismo. L’esempio più eclatante in questo senso è rappresentato dal Natale.

Anche l’8 marzo, festa della donna, non sfugge a questa regola. Anzi di questi tempi assistiamo ad un ulteriore paradosso, il tentativo di conciliare una ricorrenza che sottolinea e ribadisce la verità consegnataci dalla parola di Dio (oltre che dalla legge naturale):”Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” Genesi 1 -27 con le teorie dei Gender.

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Stiamo assistendo ad una promozione, ad una pubblicizzazione della festa della donna, anche in chiave istituzionale, che riduce la figura femminile a genere, accanto a tante altre che via via vengono riproposte giorno dopo giorno. Non pensiamo sia questo il modo migliore per valorizzare come merita l’insostituibile presenza femminile nel mondo, nelle istituzioni, nella famiglia, nelle relazioni sociali. Vi proponiamo un contributo fuori dal coro che forse può aiutare a ripensare in modo coraggioso, autentico ed anticonvenzionale al ruolo ed all’identità della donna, soprattutto in relazione con l’altro sesso quello maschile, con in quale si misura e, purtroppo, a volte si scontra nella quotidianità in tutti i contesti in essa racchiusi. Evitare questa riflessione con tutto quanto comporta, anche in riferimento alle tragiche vicende che le pagine di cronaca ripartano ogni giorno, vuol dire disconoscere il valore della donna e quindi svilire il senso di una ricorrenza che dovrebbe esaltarne le qualità ed i meriti ed evidenziare le difficoltà e gli ostacoli che rendono problematica l’affermazione di questo valore. Soprattutto occorre sfatare il luogo comune dell’uguaglianza; l’uomo e la donna sono diversi, in questo è racchiuso il fondamento teologico e la bellezza della creazione.  “Dio dona la dignità personale in egual modo all’uomo e alla donna. Ambedue infatti sono stati creati ad immagine e somiglianza del Dio personale.” (Catechismo 2334. 2333)

L’uomo e la donna, nella loro diversità, hanno pari dignità. Questa scaturisce dalla medesima natura umana e dall’essere di persona che ne designa il valore. L’essere umano infatti è sessualmente connotato al maschile o al femminile. Sicché entrambi i sessi ne partecipano la dignità e il valore.

Abbiamo un regalo da fare (la festa con gli occhi di mia figlia)

di Costanza Miriano da Avvenire del 9 marzo 2012

Ieri mattina appena sveglia una dei miei quattro figli, Livia, che ha 5 anni e comincia a cercare di capire qualcosa del calendario, mi ha chiesto che giorno fosse. Con uno sforzo titanico, raccogliendo le forze, ho recuperato alcune coordinate (chi sono, perché vivo, che mese è): «È l’8, giovedì. È la festa della donna». «Bene, che regalo facciamo al babbo e ai fratelli?», ha chiesto la saggia ragazza, avviandosi all’asilo.

Effettivamente, se la logica non la inganna, come succede a Natale, che è la festa di Gesù, è il festeggiato a dare qualcosa agli altri. «Regaleremo noi stesse», ho risposto, più che altro un po’ terrorizzata all’idea di passare un pomeriggio a cercare qualcosa per mio marito, soggetto difficilissimo e amante della tecnologia, materia a me ostile (se entro in una stanza i computer smettono di funzionare e ho anche l’impressione che ridano di me). Bene, se alla mia bambina avessi insegnato solo questo in cinque anni mi riterrei soddisfatta. Spero che lei e la sua sorellina appartengano finalmente alla generazione di donne pacificata con gli uomini, desiderose di onorarli, piene di stima e rispetto nei loro confronti, consapevoli di avere bisogno di loro, del loro sguardo sul mondo, della loro virilità, che è essenzialmente capacità di dare la vita per la sposa, i figli, e quelli di cui si fanno carico. Sarà che hanno un padre di poche parole ma di molta sostanza, generoso e presente ma autorevole e anche autoritario all’occorrenza. Sarà che non leggono giornali né guardano televisione, e quindi non vedono nessuna discriminazione in casa o fuori. Sarà che sanno che maschi e femmine sono diversi, e questa cosa a noi tre donne di famiglia piace moltissimo. E non si dica che è così perché il nostro è un uomo eccezionale: è meraviglioso, è vero, ma per il resto è un perfetto esemplare del modello base dell’essere umano. Anche lui chiede come stai e poi esce dalla stanza nel momento in cui comincio a rispondere. Anche io, se lui mi guarda ammirato, mi giro a controllare se per caso c’è uno schermo che trasmette un dribbling di Totti o un piano sequenza di Scorsese (di solito sì, c’è). Anche lui perde liste della spesa, chiavi e ricevute, anche lui trova difficoltà a fare due cose insieme, pure se le due cose non sono guidare e scrivere al computer, ma guardare l’orologio e rispondere a domande basic (tipo che ora è).

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Parlare male dei maschi è il nuovo nero, va bene su tutto, ma forse è ora di smettere: altro che 8 marzo e quote rosa, quella che sta vivendo la virilità ai nostri giorni è una crisi inedita nella storia dell’umanità. Se c’è qualcuno a essere sotto scacco sono gli uomini, indotti dalla pressione sociale e dalla ideologia unica e monocorde, quella del ‘gender’, a diventare più femminili, sentimentali, a indossare gli abiti del servizio e a deporre quelli dell’autorevolezza, ormai quasi sinonimo di barbarie. Sarà che autorevole viene da augeo, accresco, porto verso l’alto, e dell’Alto, invece, si è persa memoria, senso, direzione. Si parla così male dei maschi perché si dimentica che Dio ha creato l’uomo, enigma teologico per eccellenza, maschio e femmina. A sua immagine e somiglianza, maschio e femmina. La tensione tra maschile e femminile deve essere una dinamica di accrescimento reciproco, che rievoca quella di Dio, di cui è immagine. Dio Trinità: tre persone diverse e unite. Siamo diversi, e per questo non occupiamo gli stessi posti nella società, non per una congiura dei maschi. È perché diverse sono le cose che davvero ci realizzano nel profondo.

Che regalo fare, dunque, ai maschi, per cogliere il suggerimento di mia figlia Livia anche dopo l’8 marzo? Uno sguardo accogliente, leale, pieno di sincera approvazione. Propongo a tutte le donne di schiacciare la propria lingua, di solito sempre pronta a brontolare, fare battutine, sottolineare il male. Propongo che da oggi, dunque, ogni donna, rasserenata e pacificata, rimandi al suo uomo un’immagine di sé profondamente bella. L’uomo non è sensibile alle manifestazioni di piazza, mentre non resiste a una donna leale, che abbia uno sguardo pronto a vedere in lui la parte migliore.

L’8 Marzo: Una voce di donna fuori dal coro

Regalo per l’8 marzo di Costanza Miriano

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Amo i maschi perché si prendono selvaggiamente a colpi di spada di legno per contendersi il titolo di Supremo Sovrano del Corridoio, e tredici secondi dopo essersi scannati si dividono maschiamente una bottiglia di coca cola, per poi ricominciare a giocare come se niente fosse.

Li amo perché non faranno mai uno psicodramma, come le loro coetanee, non scenderanno negli abissi singhiozzanti della disperazione solo perché qualcuno “mi ha detto che sono cattivaaaa”.

Li amo perché il massimo della ripicca che possono concepire è un calcio, e non faranno mai perfidi commenti sottovoce sul colore della maglietta della loro nemica, alle sue spalle.

Li amo perché sono il modello base, la fiat 127 del genere umano: senza optional ma solidi e irrinunciabili.

Amo gli uomini quando montano mensole, riempiono buchi con lo stucco, trovano canali e accroccano soluzioni. Quando non vogliono fermarsi a chiedere la strada, e alla fine, pur facendo sei volte il giro della piazza la trovano, mantenendo un dignitoso contegno.

Li amo anche se fanno domande e poi quando lei comincia a rispondere escono dalla stanza.

Li amo quando, interrogati: “ti ricordi quello che ti ho detto ieri di Annalisa?”, con gli occhi persi nel vuoto frugano affannosamente nella memoria e fingono di sapere bene e rispondono a monosillabi per non tradirsi, per non lasciar trapelare che del segreto dell’amica si sono dimenticati nell’istante stesso in cui glielo avete solennemente confidato.

Amo l’uomo anche quando ha lo sguardo assorto, si chiude nel silenzio e nel lasso di tempo in cui voi vi convincete, in una escalation di pessimismo, che presto vi dirà che il vostro rapporto è al capolinea, loro in realtà hanno elaborato complessi pensieri del tenore di: quasi quasi ordino una pizza; questo divano è scomodo; speriamo che esonerino l’allenatore.

Amo gli uomini perché senza le femmine sono totalmente disabili alla vita sociale, si aggirano nel mondo persi e disadattati. Li amo perché ci fanno sentire indispensabili.

Amo come scrivono, come suonano, come cantano. Li amo perché loro sì che hanno gusto nella musica, nell’architettura, nell’arte.

Amo gli uomini perché sanno mantenere uno sguardo di insieme, e analizzare lucidamente le economie globali, ma non riusciranno a concepire un piano organizzativo che riesca a conciliare pediatra e lezione di danza e merenda.

Li amo anche quando, certi dell’amore della loro diletta – che trascorre ore a cercare di mantenere un accettabile livello estetico, a levigarsi e profumarsi e depilarsi ogni area critica – gironzolano per casa con abiti informi.

Li amo anche quando buttano le chiavi di casa nel cassonetto della spazzatura, si confondono i giorni della settimana e gli amici dei figli, portano trionfanti a casa buste della spesa piene di oggetti inutili.

Li amo perché non si perdono nei dettagli, e sanno mantenere salda la bussola, ed essere lucidi e razionali e affidabili quando noi precipitiamo nei gorghi misteriosi che ci portiamo dentro.

Li amo perché fanno il lavoro grosso per noi, e quando noi complichiamo troppo le cose, sanno invocare al momento giusto il Grande Capo Estiqaatsi. (pellerossa capo sciamano della tribù dei Cherokee )

Amo gli uomini perché sono loro il nostro regalo per l’8 marzo.

(Dal Blog di Costanza Miriano)

Chi è Costanza Miriano

Costanza

  Biografia riportata nel suo Blog

Costanza Miriano è nata nel 1970 a Perugia, dove si è laureata in lettere classiche. Poi ha studiato giornalismo, e si è trasferita a Roma dove ha cominciato a lavorare alla tv pubblica, la Rai. Per quindici anni ha lavorato al telegiornale nazionale, il tg3, ora invece si occupa di informazione religiosa a Rai Vaticano  (ma collabora anche con Avvenire, Il Timone, Credere e Il Foglio).

E’ cattolica fervente, e, convinta che in cielo si vada solo per raccomandazione, cerca sempre dei canali preferenziali per arrivare al Capo Supremo. Trova che la messa e il rosario siano quelli che funzionano meglio.

Sposata, ha quattro figli, due maschi e due femmine (e un solo marito).

Svezzata l’ultima, ha cominciato quasi per caso – o per provvidenza – a scrivere un libro, Sposati e sii sottomessa, che è partito piano piano ed è diventato un caso letterario in Italia, ed è stato tradotto in vari paesi  (tra cui la Spagna dove   ha provocato vivissime polemiche trasformandosi in un vero e proprio caso). Portando il verbo della sottomissione in tutto il paese – con conferenze ed articoli – si è resa conto che era necessario scrivere un altro libro, che spiegasse alle donne come parlare agli uomini. Ed è nato Sposala e muori per lei.

Scrive di notte, di giorno fa mille altre cose, soprattutto la mamma. Vorrebbe avere più tempo per la sua occupazione preferita: correre. Ha varie maratone al suo attivo, e un personal best di 3 ore e 15 minuti.

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