Il 12 settembre 2006 Benedetto XVI pronuncia, presso l’Aula Magna dell’Università di Regensburg, lo storico e profetico discorso di Regensburg. La trascrizione integrale della lectio è consultabile qui
Nel famoso e spesso frainteso discorso di Ratisbona Benedetto XVI cita due critiche all’islam dell’imperatore bizantino Michele II Paleologo, che accusa Maometto di aver voluto imporre la nuova religione con la forza e quindi di non aver capito che «non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio», e quella dell’islamologo francese Roger Arnaldez che ha evidenziato come correnti importanti dell’islam si spingano «fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l’uomo dovrebbe praticare anche l’idolatria».
Ma in quel discorso papa Ratzinger ha anche formulato una critica alla teologia cristiana che a partire dal tardo Medio Evo ha compiuto un errore simile a quello dei bizantini, cioè ha ricominciato a mettere in dubbio che Dio abbia una forma. Mentre i bizantini hanno relativizzato soprattutto l’incarnazione di Dio, i teologi medievali come Duns Scoto, poi la Riforma protestante e infine la teologia liberale hanno relativizzato la razionalità di Dio. In tutti e due i casi, si tratta di parziali negazioni del fatto che Dio abbia una forma che faciliti all’uomo il compito di riconoscerlo e di conoscerne la volontà.
Nella cultura popolare i bizantini sono ricordati come quelli che discutevano del sesso degli angeli mentre i turchi ponevano l’assedio finale a Costantinopoli, sono il simbolo di quanti, intrappolati nella loro autoreferenzialità, non si rendono conto del pericolo e si dedicano a lotte intestine prive di rilevanza mentre grandi sciagure si abbattono sulla loro comunità.
I bizantini hanno spianato la strada alla conquista islamica abbandonando il vero cristianesimo e imboccando la strada sbagliata di due eresie: l’iconoclastia (il rifiuto e la conseguente distruzione delle immagini sacre) e il monotelismo, cioè la dottrina secondo cui in Gesù Cristo convivono sì due nature, quella umana e quella divina, ma sussiste una sola volontà, quella divina.
L’una (quella dei monoteliti) negava indirettamente la libertà umana, mentre l’altra (quella degli iconoclasti) rifiutava implicitamente la fenomenalità divina. L’affermazione diretta ed esplicita di questi due errori costituì l’essenza religiosa dell’islam, che vede nell’uomo una forma finita senza alcuna libertà e in Dio una libertà infinita senza alcuna forma. Una volta che Dio e l’uomo siano stati così fissati ai due poli dell’esistenza, non vi è più alcun nesso fra loro, e ogni realizzazione discendente del divino al pari di ogni spiritualizzazione ascendente dell’umano resta del tutto esclusa; e la religione si riduce a un rapporto puramente esteriore tra il creatore onnipotente e la creatura che è privata di qualsiasi libertà e non deve altro al suo signore se non un semplice atto di devozione cieca (è questo il senso del termine arabo islam)».
L’islam, dunque, sarebbe l’affermazione di un Dio onnipotente, puro spirito che si fa conoscere attraverso comandi indiscutibili e imperscrutabili ai quali l’uomo, nella sua finitudine priva di libertà, quindi incapace di amore, può solo sottomettersi.
Qual è il limite dell’islam, allora, rispetto al cristianesimo? Secondo il teologo russo Solov’ëv «è l’assenza dell’ideale della perfezione umana o della perfetta unione dell’uomo con Dio: l’ideale dell’autentica divinoumanità. L’islam non esige dal credente un infinito perfezionamento, ma solo un atto di assoluta sottomissione a Dio. È evidente che anche dal punto di vista cristiano, senza un simile atto è impossibile per l’uomo raggiungere la perfezione; ma di per sé questo atto di sottomissione non costituisce ancora la perfezione. E invece la fede di Maometto pone la prima condizione di una autentica vita spirituale al posto di questa vita stessa. L’islam non dice agli uomini: siate perfetti come lo è il Padre vostro che sta nei cieli, cioè perfetti in tutto; esso richiede loro soltanto una generale sottomissione a Dio e l’osservanza nella propria vita naturale di quei limiti esteriori che sono stati stabiliti dai comandamenti divini. La religione resta soltanto il fondamento incrollabile e la cornice sempre identica dell’esistenza umana e non diventa mai invece il suo contenuto interiore, il suo senso e il suo fine».
Dunque per Solov’ëv la superiorità del cristianesimo rispetto all’islam è nulla senza la conversione della persona, senza che Cristo sia messo effettivamente al centro della vita. Per alcuni occidentali Dio ha cessato di avere una forma e quindi di essere frequentabile e visibile nel pane eucaristico, ritenendo più coerente ed efficace un Dio senza forma ma legalista come quello dell’islam o di altre religioni.