Questa domenica ricorre in Italia la Giornata di prevenzione dello spreco alimentare. Una giornata per riflettere sui nostri comportamenti e cercare di modificarli.
“Sprecare cibo” – afferma Papa Francesco – è “negarlo ai poveri”, si tratta – sottolinea – non solo di “un’ingiustizia”, ma “di più: è un peccato”. Nel mondo si spreca circa un terzo degli alimenti che si producono.
Ogni anno 1/3 del cibo del mondo (1,3 miliardi di tonnellate) viene sprecato senza arrivare neanche a tavola pur essendo prodotto perché va a male in azienda, si perde, diventa immangiabile durante la distribuzione o viene gettato via nei negozi alimentari al dettaglio, ristoranti e cucine (fonte WWF). Si tratta di circa 4 volte la quantità di cibo necessaria a sfamare le quasi 800 milioni di persone sul pianeta che sono denutrite. Solo gli Stati Uniti gettano 46 milioni di tonnellate di cibo l’anno (fonte FSI), mentre il solo cibo buttato in Europa sfamerebbe circa 200 milioni di persone (FAO). Con la fame che milioni di persone soffrono nel mondo è inaccettabile che il cibo prodotto e sprecato occupi quasi 1,4 miliardi di ettari di terra, costituendo il 30% della superficie occupata da terre agricole a livello mondiale. Il diretto costo economico dello spreco alimentare dei prodotti agricoli viene valutato sui 750 miliardi di dollari, una cifra equivalente al Pil della Svizzera.
Un fenomeno che purtroppo interessa anche gli italiani. Ogni anno in media una famiglia italiana butta 49 kg di cibo, complessivamente vengono sprecati 1,19 milioni di tonnellate di alimenti. In termini economici questo corrisponde a circa 7,65 miliardi di euro (316 € per famiglia). Gli sprechi maggiori riguardano la verdura (10,7 kg), la frutta (9,9 kg), il pane (9,1 kg), e la pasta (6,0 kg) mentre minori risultano le quantità sprecate per gli alimenti più costosi: carne (4,5 kg), formaggi (2,1 kg), pesce (1,8 kg), surgelati (1,8 kg) e salumi (1,2).
Lo spreco alimentare non è un incidente di percorso ma è funzionale al sistema alimentare industriale dominante, il quale ha un unico fine: il profitto. E il profitto ha bisogno di numeri, di velocità, di distribuzioni su vasta scala, per cui il “male minore” è proprio quello di buttar via un prodotto finito.
E’ necessario che il sistema alimentare sia orientato ad un fine diverso dal semplice profitto: e quel fine è il fine complesso e nobile dell’alimentazione. Il cibo deve nutrire senza ammalare. Per farlo deve essere accessibile, non solo in termini monetari ma soprattutto in termini di diritto: questo significa che chi non ha soldi deve poter comunque avere cibo, deve avere accesso alla terra, per esempio. Non può essere che l’unico cibo disponibile sul pianeta sia quello che il mercato mette in vendita. L’agricoltura familiare e di piccola scala è un baluardo importante contro lo spreco. La cultura della solidarietà e della protezione delle risorse naturali è un altro bel modo di proteggersi dallo spreco.
Un eccellente sintesi di questo concetto è quella che il cardinale Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha offerto intervenendo a Roma in un convegno sugli Ogm: «Serve, innanzitutto, un radicale cambiamento nella concezione economica attuale, orientandola al bene comune, in modo da combattere gli sprechi e incoraggiare il consumo responsabile. Serve altresì una riflessione solidale sulle priorità per la produzione agricola: cibo essenziale per la vita della popolazione (locale o distante), cibo meno essenziale, biocarburanti, foraggio… Bisogna, insomma, riflettere sulla cosiddetta “destinazione primaria” degli alimenti».
Con le varie Campagne di sensibilizzazione contro gli sprechi, il nostro Paese inizia ad avere maggiore consapevolezza nell’uso e riuso del cibo. Un’indagine realizzata del 2014 da Gfk Eurisko con la collaborazione di Auchan e Simply, il 54% degli italiani afferma di controllare quotidianamente il frigorifero, il 65% controlla almeno una volta al mese la dispensa, solo il 36% dichiara di attenersi rigorosamente alla data di scadenza dei prodotti riservandosi di valutare personalmente la qualità/freschezza dei prodotti scaduti prima di buttarli. E il 45% si dichiara favorevole alla vendita a prezzi scontati di alimentari non deperibili scaduti
Possiamo dare il nostro contributo alla riduzione degli sprechi facendo piccole spese, in funzione del nostro reale fabbisogno quotidiano, non cadendo nei tranelli delle offerte, imparando a cucinare anche con gli avanzi, e privilegiando i prodotti locali, di stagione e dell’agricoltura sostenibile.