Papa Francesco durante l’Omelia di Pentecoste ha parlato del centestimo anniversario della Prima guerra mondiale: «È stata una strage inutile. Preghiamo per le vittime chiedendo allo Spirito Santo il dono della pace». Lo ha detto Papa Francesco al Regina Coeli, ricordando la celebra frase dell’allora pontefice Benedetto XV. Trentasette milioni di vittime (17.000.000 di morti, 20.000.000 di feriti e mutiliati), la metà civili: è il prezzo pagato per il primo conflitto mondiale di cui quest’anno ricorre il Centenario, che coinvolse 28 Paesi tra l’estate del 1914 e la fine del 1918.
Sul tema si è soffermato anche l’editoriale del direttore Marco Tarquinio sull’Avvenire del 24 maggio.
L’inutile strage cent’anni dopo
Ma nessun nome manca
Cento anni fa in questo stesso giorno di maggio incominciarono a morire 1.240.000 italiani, 651.000 soldati e 589.000 civili, uomini e donne. E presero a moltiplicarsi le vittime tra i nostri “nemici” austroungarici: infine 1.567.000 morti, due terzi in divisa, 400.000 sul solo fronte italiano.
Da dieci mesi, dal luglio 1914, altri 34 milioni di europei (e di colonizzati dagli europei, e di loro alleati) avevano già preso a cadere uccisi o feriti sui campi di battaglia non solo militari della «Grande Guerra».
Conclusione del nostro Risorgimento, come c’è stato a lungo insegnato. Incubatrice e prologo del tempo oscuro dei totalitarismi nazionalisti e internazionalisti, della disumanità eretta a sistema di potere assoluto.
Principio del gigantesco e, di fatto, ininterrotto conflitto che nel corso del Novecento ha cambiato, sfigurato e ricomposto il volto del nostro continente e rivoluzionato gli equilibri mondiali.
Guerra spietata, come tutte, eppure persino più mostruosa. Fucina di orrori che non possono essere dimenticati e che pure si è tentato di occultare e negare, magari sublimandoli e distillandoli in pura retorica. Drammi dai quali ancora stentiamo a trarre una definitiva lezione di civiltà e pace.
Eppure è oggi chiaro che in questo stesso giorno di maggio, cento anni fa, l’Italia gettò se stessa nell’immane carneficina che papa Benedetto XV, il 1° agosto 1917, bollò come «inutile strage». Parola di padre e di profeta, capace di dare cittadinanza morale alle «aspirazioni dei popoli» e all’idea del «disarmo» come fonte di «vantaggi immensi» per persone e nazioni.
Tesoro di consapevolezza che decenni dopo, nel 1950, in un altro maggio, spinse il francese Schuman, il tedesco Adenauer e l’italiano De Gasperi – tre grandi statisti e cristiani che quella “visionaria” parola di pace avevano compreso e le tremende sciagure belliche sperimentato – a dar vita alla Comunità del carbone e dell’acciaio, embrione dell’Europa unita. E vennero settant’anni di pace, difficile ma sempre più vera. E venne la progressiva condivisione dei confini e delle “ricchezze” per cui ci si era massacrati nell’«inutile strage».
Questo è il pensiero di oggi. Il primo, accanto alla memoria di ogni vittima, senza distinzione di patria e di bandiera. Perché, come cantò Ungaretti «nel cuore nessuna croce manca». E nessun nome.