Giovedì santo – La lavanda mi ha sempre inchiodato

di don Primo Mazzolari

Mazzolari

Un lontano mi scrive parole, che, se non mi sorprendono, mi fanno soffrire:

“Non parteciperò al rito del giovedì santo. La lavanda mi ha sempre inchiodatoForse passa per quest’impressione incancellabile il filo che mi tiene ancora avvinto, in un certo senso, alla Chiesa. Ma se ci tornassi con l’animo che mi hanno fatto gli avvenimenti all’insaputa di me stesso, mi verrebbe la tentazione di gridare contro di voi, che pur mostrate di capire tante cose. “Capite voi quello che fate?” Forse non l’avete mai capito: certo, adesso, non lo capite più. Quell’azione è un capovolgimento della vita e voi ne fate un rito”.

Amico caro e lontano, nella mia Chiesa non si fa la funzione del Mandato, ma il Vangelo che lo racconta, lo leggo ugualmente a bassa voce – il tono dell’indegnità che si confessa – davanti al cenacolo, dopo l’Ufficio delle tenebre, quando non ci si vede più e ci si può vergognare di noi stessi senza falsi pudori. Lo leggo per me e, se vuoi, anche per te e per qualcun altro che soffre come noi, quantunque le parole decisive non si possano leggere che per sé. (…)

Lavanda-dei-piedi

“Capite quel che vi ho fatto?” E poiché gli apostoli non capivano l’istituzione della carità, che doveva precedere di poco l’istituzione del sacramento della carità, egli è costretto a continuare la lezione. “Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite giusto, lo sono. Se dunque io Signore, io Maestro v’ho lavato i piedi, così voi pure dovete lavarvi i piedi l’un l’altro. Vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come io ho fatto con voi”.

L’ istituzione dell’eucaristia si chiude con parole quasi uguali: – “Fate questo in memoria di me”-. I cristiani di tutti i tempi hanno trovato più facile ripetere la presenza eucaristica della presenza caritativa, dimenticando che non si può capire una messa dalla quale, almeno uno, dietro l’esempio del Maestro, non si alzi per continuare la carità, di cui il Pane è celeste nutrimento.

Amico lontano e caro, non ti dico: “Torna anche quest’anno al rito del Mandato”. Appunto perché hai l’impressione che nelle nostre chiese ciò che tu giustamente chiami il capovolgimento stia per divenire una “forma rituale”, io ti scongiuro di non fermarti quest’anno sulla soglia della tua Chiesa, spettatore indeciso e indisposto. Portati avanti, fino alla tavola eucaristica per “levarti” subito dopo la comunione, non come un commensale qualunque, ma come un servo dell’Amore che deve cambiare il mondo. I capovolgimenti non si attendono, si fanno.

Dietro la croce e Il segno dei chiodi, Bologna 1983, pp. 141-143

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