Gammy: la cultura del commercio e dello scarto umano

Ora che il clamore mediatico sul caso di Gammy sembra spegnersi è forse il momento opportuno per una riflessione su questa vicenda, superando l’ondata emozionale per entrare in profondità. Una storia questa che apre uno squarcio, a dir poco inquietante, su un mondo che sta andando alla deriva su famiglia, etica, procreazione responsabile. Non solo, vengono toccati una quantità enorme di problemi ed aspetti che dovrebbero aiutarci a comprendere realtà che spesso vengono deliberatamente taciute od ignorate.

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Ci voleva il caso limite, la disumanità evidente perché almeno un po’ di opinione pubblica si accorgesse della terribile stortura in ciò che viene presentato, quando tutto va liscio, come una cosa normale. Se il signor e la signora X fossero tornati a casa con due bei bambini bianchi come loro, portati in grembo e partoriti da una mamma thailandese, tutto sarebbe stato a posto?

La vicenda di Gammy

La storia, raccontata sul sito della tv australiana Abc, arriva dalla Thailandia, dove una donna in difficoltà economiche, Pattharamon Chanbua, ha “prestato” il suo utero a una coppia australiana. Nel grembo per nove mesi ha portato due gemelli, un maschio e una femmina. Al terzo mese al piccolo è stata certificata la sindrome di Down. Nel mondo il 97% dei bambini cui la diagnosi prenatale indichi la sindrome di Down viene abortito.

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La donna tailandese, di soli 21 anni e di religione buddista, opponendosi alla richiesta dei genitori biologici, ha rifiutato l’aborto e ha dato alla luce entrambi i gemelli. I genitori australiani hanno deciso di prendere con sé solo la bimba sana. La mamma surrogata, che ha altri due figli di 6 e 3 anni, ha invece coraggiosamente deciso di occuparsi del piccolo Gammy, che soffre anche di una patologia cardiaca. Ha chiesto aiuto, è nata una campagna di raccolta fondi, e sul sito Hope for Gammy ha risposto la solidarietà internazionale, raccogliendo in 10 giorni 104mila dei 150mila dollari australiani necessari a operare il bambino, che oggi ha 6 mesi. “Noi siamo poveri, i soldi (per prestare il proprio utero, 16mila dollari, ndr) dovevano servire per l’educazione dei miei figli – spiega la donna – e per pagare alcuni debiti. Non è giusto che le cose siano andate così, perchè uno dei due gemelli deve avere una vita così dura?”.

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I genitori biologici sono benestanti e avrebbero potuto garantire al piccolo le cure adeguate. Ma hanno deciso di non dargli nulla. Nemmeno il nome: è stato scelto dalla sua famiglia thailandese. Che lo circonda dell’affetto negatogli dai veri genitori, che non volevano che nascesse e che hanno tentato di farsi scudo dell’anonimato e della distanza. “Lo amo come un figlio – dice la donna che lo ha portato in grembo nove mesi – e farò qualunque cosa per lui”.

Le madri surrogate: chi sono?

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La maternità surrogata (o forse è più realistica, anche se più cruda nella sua evidenza, la definizione “utero in affitto”)  è la pratica in cui una donna sceglie di prendersi a “carico” l’intera gravidanza e parto per conto di una coppia (etero o omosessuale che sia) dietro un compenso. La donna affitta il suo utero e, come da contratto, rinuncerà al bambino al momento del parto.

Come funziona?

A seconda della coppia si ricorre alla surrogazione omologa o l’eterologa (dove è permesso secondo legislazione).

La surrogazione omologa sarebbe in sostanza l’uso dei gameti (ovulo e spermatozoo) della coppia eterosessuale, mentre la surrogazione eterologa è invece l’uso anche di gameti che non appartengono entrambi alla coppia eterosessuale! La surrogazione eterologa è utilizzabile anche per gli eterosessuali tramite la donazione di ovuli da donatrici.

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I genitori biologici per tutelarsi maggiormente si rivolgono quasi sempre a una società che fornisca un servizio di assistenza completa per tutta la durata del “programma”. Niente improvvisazioni, insomma: le madri surrogate devono essere attentamente selezionate e possedere requisiti precisi. Che sono l’età giovane (tra i 20 e i 30 anni), le condizioni fisiche perfette (niente malanni, s’intende, ma nemmeno chili di troppo) e una “accertata stabilità psicologica”, visto che al termine della gravidanza la madre surrogata sarà separata dal bambino.

Costo dai 15 ai 30mila euro, ma si trascura, non un dettaglio, ma un elemento determinate, dietro questo “sevizio” c’è una donna in carne ed ossa.

Cosa nasconde la vicenda di Gammy?

La maternità surrogata non è solo un modo per trasformare le donne in oggetto in cui ciò che vuole lei non conta più perchè il suo utero è ufficialmente diventato proprietà altrui, ma è un modo per commercializzare la vendita di esseri umani come merce, basta vedere che se è malformato o meglio “difettoso” in tal caso i contratti prevendono l’aborto.

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 Nel momento in cui viene accettato il concetto che è possibile pagare una donna più povera perché cresca in sé un figlio da cui poi deve strapparsi perché lo stesso può essere comprato, allora non c’è legge che tenga. Perché l’egoismo è sconfinato e ci sarà sempre un Paese più povero dove una donna non può vendere altro che la propria fertilità e dove una coppia (etero, gay, aliena) che possa pagare il prezzo è messa in condizione di dettare condizioni inumane. Sapendo perfettamente di essere la parte contrattuale forte. Sapendo perfettamente di poter dire, come una vecchia pubblicità: compro, pago, pretendo. E se i due “benestanti” (che brutta parola) australiani sono andati a cercare una madre surrogata in Thailandia è perché nel loro Paese non avrebbero mai potuto fare quello che hanno fatto, cioè rifiutare i“prodotto”. E lo sapevano benissimo, per questo sono andati a cercare altrove.

Qual è l’entità del fenomeno?

 I numeri dicono che nel mondo ogni anno nascono con la pratica dell’utero in affitto circa ventimila bambini: gli acquirenti sono coppie eterosessuali con problemi e sempre di più coppie omosessuali. Diecimila nascono in Cina, duemila in India in vere e proprie “fabbriche dei bambini” che caratterizzano ormai l’economia di intere città, millecinquecento negli Stati Uniti, un migliaio in Thailandia e altrettanti in Ucraina, il resto in tanti paesi poveri dove neanche vengono censiti.

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Oggi ci sarebbero altri 400 bambini bloccati in Thailandia in attesa di documenti per l’Australia: un numero che, portato a galla da questa storia, imbarazza ancor di più il governo australiano al punto da far annunciare una imminente modifica alla legge in materia e far chiedere di portare Gammy in Australia almeno per curarlo.

Cos’è la cultura dello scarto?

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Papa Francesco più volte ha parlato della “cultura dello scarto”, le cui vittime – ha detto – sono proprio gli esseri umani più deboli e fragili, ad esempio i nascituri. E’ dalla riduzione della persona a cosa che nascono tutti i drammi dell’epoca contemporanea: aborto, eutanasia, utero in affitto, pedofilia, turismo sessuale, fecondazione eterologa.. E come si evidenzia questo passaggio della riduzione della persona a cosa? Dalla presenza del denaro, allora un figlio diventa semplicemente una cosa, un prodotto da acquistare. Ovviamente, se il prodotto è difettoso viene rifiutato, rispedito al mittente. Ormai non si ricorre più alla procreazione per ovviare ad una patologia di infertilità, vi si ricorre per generare il “figlio di qualità”. Al mercato della procreazione vige la legge della domanda e dell’offerta a garanzia del migliore risultato, I “difetti di fabbrica” vanno scartati e sostituti.

Tutto questo rappresenta la negazione dell’umano: della umanità del figlio, della madre “affittata” e perfino dei genitori biologici, ridotti a esigenti committenti. Benché almeno nella vicenda di Gammy l’umanità, scacciata da un lato, ritorni dall’altro: è la giovane mamma surrogata che ora vuole prendersi cura di quel bambino, e che dice di sentirlo figlio suo.

Qual è la situazione in Italia?

 L’Italia non consente la surrogazione di maternità. Di fatto chi è  economicamente facoltoso e desidera un figlio con il proprio patrimonio genetico riesce e trovare mezzi e strumenti per aggirare la legge, rivolgendosi altrove, come avvenuto in passato nel caso della fecondazione artificiale.

Sulla questione è intervenuto recentemente il il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, nell’Aula della Camera rispondendo ad una interpellanza urgente sul tema: “A seguito dei casi di coppie italiane che hanno intrapreso questi passi in Paesi stranieri, dove la maternità surrogata è consentita  il ministero della Salute si è impegnato e continuerà a farlo, in maniera anche più forte, a informare e sensibilizzare i cittadini sul fenomeno della maternità surrogata, ricordando che si tratta di un comportamento sanzionato dalla legge vigente. Il ministero della Salute  si impegnerà, altresì, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali a combattere ogni forma di sfruttamento del corpo umano e delle sue distinte parti anatomiche, con particolare attenzione per la procreazione umana, dove donne e bambini possono diventare soggetti grandemente vulnerabili”.

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In sintesi:

 In un’epoca nella quale siamo inondati dalla marea montante dei cosiddetti ‘diritti umani’, in realtà i diritti dei più deboli sono sempre più compressi a favore di quelli di micro-minoranze esagitate e ricche. Talmente compressi da negare loro non solo la dignita di persone ma mettendo spesso in discussione anche la loro stessa esistenza.

Cosa dice la Chiesa?

La Chiesa ha cura della vita e della dignità di ogni persona umana, dal concepimento alla morte naturale. Papa Francesco lo ha ribadito più volte, nel corso del suo Pontificato, con forza e chiarezza anche nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”.

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Quello del rispetto della vita e della dignità della persona è un richiamo forte e costante nel cammino della Chiesa. Tra i tanti interventi nella dottrina della Chiesa che potremmo citare sottolineiamo due passaggi:

Nell’enciclica “Evangelium Vitae “ di Giovanni Paolo II al punto 3 “Nuove minacce alla vita umana” si legge:

Ciascun uomo, proprio a motivo del mistero del Verbo di Dio che si è fatto carne (cf. Gv 1, 14), è affidato alla sollecitudine materna della Chiesa. Perciò ogni minaccia alla dignità e alla vita dell’uomo non può non ripercuotersi nel cuore stesso della Chiesa, non può non toccarla al centro della propria fede nell’incarnazione redentrice del Figlio di Dio, non può non coinvolgerla nella sua missione di annunciare il Vangelo della vita in tutto il mondo e ad ogni creatura (cf. Mc 16, 15).

Oggi questo annuncio si fa particolarmente urgente per l’impressionante moltiplicarsi ed acutizzarsi delle minacce alla vita delle persone e dei popoli, soprattutto quando essa è debole e indifesa. Alle antiche dolorose piaghe della miseria, della fame, delle malattie endemiche, della violenza e delle guerre, se ne aggiungono altre, dalle modalità inedite e dalle dimensioni inquietanti.

 Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n.  2235 afferma:

“Occorre che tutti i programmi sociali, scientifici e culturali siano presidiati dalla consapevolezza del primato di ogni essere umano. In nessun caso la persona umana può essere strumentalizzata per fini estranei al suo stesso sviluppo e per questa ragione né la sua vita, né il divenire del suo pensiero, né i suoi beni, né quanti condividono la sua vicenda personale e familiare possono essere sottoposti a ingiuste restrizioni, politiche o sociali, imposti da qualsiasi autorità, sia pure in nome dei presenti progressi della comunità civile nel suo insieme di altre persone. È quindi necessario che le autorità pubbliche vigilino con attenzione, affinché ogni restrizione della libertà o comunque ogni onere imposto all’azione personale non sia mai lesiva della dignità e affinché venga garantita l’effettiva praticabilità dei diritti umani.”

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