Grest e stranieri: un report tra gli oratori della diocesi

Dal sito della Diocesi una bella riflessione sull’esperienza del Grest come momento di conoscenza,  confronto, formazione:  un processo di integrazione di costruzione di una identità comune che va al dì là delle diversità e delle provenienze.

Il tema del viaggio che ha accompagnato bambini e ragazzi nell’edizione del Grest 2016 stimola, ancor più del solito, la riflessione sulla presenza negli oratori di bambini nati in Italia con famiglie d’origine straniere. Negli scorsi anni in diocesi, sacerdoti ed educatori si erano interrogati sulle modalità con cui intessere un possibile dialogo con culture, tradizioni e religioni spesso molto distanti, con le quali non è immediato il confronto e la ricerca di un percorso comune da intraprendere.

Don Gian Paolo Maccagni, vicario della Zona VI, spiega il senso di tale alleanza educativa tutta da costruire:

«L’Ufficio di Pastorale giovanile già gli scorsi anni ha tracciato alcune indicazioni affinché si avviasse un dialogo con le famiglie straniere che frequentano l’oratorio, mettendo bene in evidenza i valori educativi condivisi, senza rinunciare però all’annuncio cristiano, che deve rimanere cardine della proposta educativa della parrocchia. Da parte delle famiglie che professano altre religioni dev’essere chiaro il tipo di messaggio che l’oratorio si impegna a consegnare ai ragazzi, nella certezza che non ci sia alcun obbligo a gesti religiosi o alla partecipazione a momenti di preghiera».

In alcune parrocchie, per i bambini che non professano la religione cristiana, si è spesso tentato di proporre comunque attimi di riflessione, durante i quali si potevano affrontare tematiche educative condivisibili o riflessioni su vissuti ed esperienze comuni a tutti, indipendentemente da origini e religioni.

«Quest’anno, grazie al tema del Grest – continua Macccagni – è stato possibile approfondire ancora di più la questione dello straniero: l’esperienza del viaggio permette di incontrare mondi diversi e conoscere culture lontane dalle nostre. I bambini al grest si sono confrontati anche con il viaggio di chi è costretto ad abbandonare la propria terra d’origine: diversi oratori hanno infatti incontrato alcuni migranti, ospiti della Casa dell’accoglienza, hanno ascoltato le loro storie e si sono aperti a realtà che non conoscevano come, ad esempio, l’esperienza del Ramadan, che i musulmani hanno vissuto durante il mese di giugno».

«La presenza di bambini stranieri – continua don Gian Paolo – può trasformarsi in occasione di apertura e di confronto per tutti: insegna a non ignorare il diverso, a conoscerlo per rispettarne lo stile di vita, le tradizioni. Gli stessi momenti in cui al Grest si parla di fede cristiana possono diventare occasione di confronto e arricchimento culturale per i bambini che non professano la nostra religione».

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Alcune esperienze

Per sondare la portata e le caratteristiche del fenomeno bambini stranieri in oratorio, abbiamo confrontato alcune esperienze da diversi angoli della diocesi. In generale si è ormai stabilizzata la loro presenza non solo durante le attività estive, ma anche durante l’anno: gli spazi di gioco sono apprezzati soprattutto dai più piccoli, che si danno appuntamento in oratorio anche con i loro compagni di scuola. In generale durante le attività estive la partecipazione degli stranieri si aggira intorno al 10%.

Caso particolarmente interessante è quello dell’oratorio di Cassano. Su 200 bambini, 50 hanno origini straniere, così come circa un terzo degli animatori: «Molti sono gli albanesi, da diversi anni prensenti e partecipi della vita della comunità. Vi sono poi marocchini, blugari e famiglie provenenti dall’america latina», riporta don Gianluca Gaiardi, vicario a Cassano. «Da tempo è stato avviato un processo di integrazione, che ha portato diversi nuclei familiari ad inserirsi nelle attività parrocchiali, compresa l’iniziazione cristiana».

Tra le relatà cittadine, S. Giseppe al Cambonino, ad esempio, è una delle parrocchie che mantiene una forte presenza di stranieri residenti in quartiere (circa un quarto della popolazione). Anche tra gli animatori vi sono tre adolescenti che hanno origini straniere, di religione cattolica ortodossa o evangelica. «I bambini musulmani non partecipano alla preghiera quotidiana del Grest – commenta don Alberto Martinelli, parroco del Cambonino –, ma il rapporto con loro e con le famiglie è di reciproca fiducia. I loro genitori sono al corrente delle nostre attenzioni, sia a livello educativo, sia per quanto riguarda questioni pratiche come il cibo: siamo attenti a non dare loro, per esempio, carne che non possono mangiare».

Dall’oratorio di Viadana, così come a Soresina o nelle parrocchie di Motta e Scandolara, le difficoltà maggiori si avvertono con ragazzi nordafricani o indiani, con i quali risulta più complessa l’integrazione e la partecipazione alle attività oratoriane. Si osserva però, in ogni caso, che più i bambini sono piccoli, più è facile che si lascino coinvolgere e che socializzino con i coetanei italiani, senza creare particolari problematiche.

«Con ragazzi di origine romena o albanese, invece, i rapporti sono più immediati», rileva don Piergiorgio Tizzi, vicario delle parrocchie di Viadana. «Alcuni di loro quest’anno hanno anche prestato servizio come animatori al Grest». Anche qui i musulmani non partecipano ai momenti di preghiera, anche se sono invitati ad entrare in chiesa. Nelle parrocchie di Soresina, invece, racconta don Andrea Piana, i bambini che prefessano altre religioni seguono con tutti gli altri la riflessione proposta, che spesso non si presenta marcatamente cattolica, ma può essere in qualche modo condivisibile a livello morale ed umano.

«Il confronto con gli stranieri può nascere anche semplicemente da una riflessione culturale», continua don Tizzi. «Il tema del Grest di quest’anno, ad esempio, ha aiutato molto in questo: è stato possibile dialogare più liberamente delle diverse tradizioni. Si sono spesso invitati i ragazzi di origine non italiana a raccontare qualcosa della loro cultura, a insegnare a salutare nella loro lingua o a pronunciare alcune parole streniere».

Al Grest di Cassano, a tal proposito, è stato realizzato un interessante laboratorio indirizzato ai ragazzi delle medie, in collaborazione con la sede dell’ACLI: «Si tratta di “The Terminal”, un gioco di ruolo mediante il quale i ragazzi potevano compiere un giro del mondo virtuale, alla scoperta delle varie culture. Si è potuto realizzare grazie alla presenza di alcune persone che si sono rese disponibili a raccontare il loro vissuto all’interno di un altro Paese. Una mamma blugara, un’adolescente marocchina, una giovane che ha vissuto per qualche tempo negli Stati Uniti e una famiglia cinese hanno permesso che i ragazzi apliassero il loro orizzonte, verso l’incontro con culture diverse dalla propria».

Per quanto riguarda, invece, il rapporto con le famiglie, i genitori spesso si presentano per conoscere meglio il tipo di messaggio che l’oratorio offre ai bambini. Capita anche che alcune mamme si rendano disponibili ad aiutare o accompagnare in gita alcuni gruppi durante il Grest, come accade per esempio a Viadana: è questa l’occasione per intrecciare nuove relazioni, che magari rimangono anche durante l’anno.

Molti genitori, infatti, vedono l’oratorio come un luogo accogliente nel quale porter portare i figli a giocare e incontrare i loro amici e compagni di scuola. «Anche un gruppetto di mamme è spesso prensente in oratorio – afferma don Martinelli –: è questo un luogo protetto in cui si sentono libere di passare del tempo e di ritrovarsi tra loro».

Identità e appartenenza

«Come dimostrano i dati raccolti e come già citato nel documento del 2009 Accoglienza, integrazione, identità e annuncio della fede cristiana, la compresenza di culture e fedi non snatura affatto la forma cristiana dell’animazione estiva, nella bella fatica di annunciare e testimoniare, che va al di là di chi è credente, animatori e genitori compresi», afferma don Paolo Arienti, presidente della Federazione Oratori.  «L’Oratorio annuncia la fede cristiana non solo con la preghiera proposta, ma anche attraverso lo stile di accoglienza, le regole educative, la carità spesa nei confronti di tante fragilità, la conoscenza non ostracizzante di chi è di altro orientamento spirituale, senza venir meno alla propria identità».

Agli oratori è chiesta sempre di più dunque una formazione che riguardi l’umano in sé, un cammino verso la costruzione di un’identità non solo personale, ma comune, come ben ricordano le parole di papa Francesco: «L’identità non si conquista per scontro, ma per appartenenza».

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